Cultura

Libertà di informazione. Che libertà è senza responsabilità?

Le vignette su Maometto e il dibattito sui principî: chi fa informazione costruisce spazi dialogici e di comprensione o spazi conflittuali e di guerra?

di Riccardo Bonacina

Il caso delle vignette su Maometto continua ad incendiare il mondo islamico. Mentre scriviamo ad Islamabad e a Lahore, in Pakistan, migliaia di manifestanti protestano davanti alle ambasciate e consolati occidentali bruciando le bandiere americane e danesi. In Iran, il quotidiano Hamshahri ha lanciato un concorso satirico sull?Olocausto come forma di ritorsione alle spiritosaggini occidentali. Il direttore di Jyllands-Posten, che per primo pubblicò le vignette incendiarie il 30 settembre 2005, il direttore del magazine norvegese cristianista, Magazinet, che le ripubblicò il 10 gennaio scorso, e il direttore di France Soir che le pubblicò a sua volta il 1° febbraio, seguiti da una pletora di direttori e commentatori dei media occidentali, anche italiani, sostengono che la reiterazione della pubblicazione delle immagine offensive per milioni di islamici, che ad oggi è già costata il sacrificio di un centinaio di vite umane in decine di incidenti, si giustifica in nome della battaglia per la ?libertà di espressione?. Arma positiva o distruttiva Verrebbe voglia di mandare al diavolo, per vie brevi, questo drappello di direttori e commentatori abituati a umiliare quotidianamente la ?libertà d?informazione e d?espressione? sull?altare degli interessi dei loro padroni, degli inserzionisti pubblicitari o delle veline di governi e uffici di pr. Giustamente il cardinal Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace ha commentato la vicenda con parole dure, durissime: «Una manifestazione di arroganza maturata in paesi ricchi e sviluppati che non hanno rispetto per la cultura degli altri. Il diritto alla mia libertà di espressione arriva sin dove si pone il diritto dell?altro». Vale la pena sottolinearlo: la libertà non è un diritto astratto, un diritto che sta prima o fuori dalle situazioni; la libertà, invece, si gioca tutta dentro le relazioni, tanto più per chi comunica o informa. Nella sua lettera ai responsabili delle comunicazioni sociali, Il rapido sviluppo, (gennaio 2005), Giovanni Paolo II ammoniva: «Non vanno dimenticate le potenzialità che i media hanno nel favorire il dialogo, divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di solidarietà e di pace. Essi costituiscono una risorsa positiva, potente, se messi a servizio della comprensione tra i popoli; un?arma distruttiva, se usati, invece per alimentare ingiustizie e conflitti». In parole povere: chi fa informazione costruisce spazi dialogici e di comprensione o spazi conflittuali e di guerra? Ecco, il grande problema per chi fa il nostro mestiere. È la quaestio con cui chi fa informazione e comunicazione ha a che fare ogni giorno. Disponiamo di un?arma positiva o distruttiva, dipende da noi. Lévinas esprimeva lo stesso concetto con altre parole; diceva che chi comunica «può mettere il mondo in comune o sottrarlo alla comune comprensione e mandarlo in frantumi». Stabilire relazioni Il diritto irrinunciabile non è ad una libertà fine a se stessa, la libertà si gioca tutta nello stabilire relazioni, è libertà di costruire. In questa epoca della moltitudine, in questo tempo della diaspora di tutte le appartenenze, credo che tocchi proprio a chi fa comunicazione promuovere e dar vita ad uno spazio dialogico in cui il riconoscimento reciproco tra persone e comunità sia reso possibile, sia protetto, incoraggiato, regolato. Oggi più che mai, chi fa informazione deve trovare il modo, con la sua professionalità, di passare dal racconto al pubblico indistinto al dialogo con un tu possibile. Non è questa la prima moralità di un giornalista? Per il resto, davvero non c?è libertà se non nella responsabilità di una relazione e di una costruzione. Non c?è libertà se non si coniuga con la responsabilità che abbiamo verso tutto e tutti nel non rompere nessun filo di comunicazione possibile e nel costruirne sempre di nuovi con le nostre azioni. Il resto nasconde un?intenzione disonesta, anche se si ammanta di grandi principi.


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