Cultura

Un presepe vivente nel cuore del Congo

I nostri piccoli stregoni sono ormai angeli custodi, pronti a distribuire miracoli quando la vita non gli ha regalato nulla, se non il ripudio dalla società ...

di Joshua Massarenti

Sono ali tarpate cucite con pazienza biblica. Un lavoro da certosino durato almeno sei mesi. E ora che brillano del loro bianco immacolato, provi una tristezza infinita. I nostri piccoli stregoni sono ormai angeli custodi, pronti a distribuire miracoli quando la vita non gli ha regalato nulla, se non il ripudio dalla società. Poco più in là ci sono i re Magi, ansiosi come loro di annunciare la buona novella. Per una volta c?è chi li ascolterà. Parenti e amici assiepati ai piedi di un palcoscenico di fortuna sono già assorti in un silenzio religioso, quasi fosse un processo di espiazione collettiva. Tra poco andrà in scena L?adorazione dei re Magi. Il presepe vivente fa da cornice all?ultima impresa del centro di accoglienza portato avanti con fatica immensa dai missionari guanelliani di Kinshasa. A Matete, come negli altri quartieri popolari della capitale congolese, i bambini stregoni sono la ferita più aperta di una società martoriata dalla povertà e che ora il teatro costringe a guardare se stessa, a cominciare dai propri peccati. Perché tra gli spettatori c?è chi si chiede fino a quando reggerà alla finzione teatrale. Dietro ai volti di Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, Maria e Giuseppe si nasconde un?adolescenza calpestata da credenze inverosimili, accettate, se non condivise da adulti martoriati dalla povertà.

È il caso di Lucie, 13 anni di fragilità con gli ultimi tre trascorsi a brancolare nel buio tra le zone più pericolose di Kinshasa. «Mi sono ritrovata assieme a un gruppo di ragazzi nel quartiere di Maluku dopo una retata organizzata dalla polizia contro i bambini di strada. Pochi giorni prima, mio padre mi aveva cacciato di casa accusandomi di essere la fonte di tutti i guai familiari. Mio fratello era rimasto ucciso in un incidente stradale. Al che, papà si è dato all?alcol. Gli sono bastati pochi mesi per perdere il lavoro e poi la ragione. Diceva che ero indemoniata e che bisognava starmi alla larga. Poi un bel giorno mi ha ordinato di andarmene».

Da allora Lucie vede soltanto la mamma, per giunta in rarissime occasioni. Oggi la signora Lukanda è l?unica della famiglia ad essere presente in sala. Mentre Lucie entra in scena le scorrono sul viso lacrime che vanno ad infrangersi su un sorriso che si sprigiona solamente quando sul palco Baldassare si accorge di essersi dimenticato dell?incenso. Seguiranno altre gaffe, accompagnate da risate generali che per brevi attimi restituiscono all?ambiente un po? di serenità.

Al termine dello spettacolo, i missionari guanelliani non nascondono la loro soddisfazione. «Per quei bambini che abbiamo prelevato dalla strada e accolto nei nostri centri di ospitalità», spiega padre François, «manifestazioni di questo genere sono un?occasione per ricucire strappi familiari difficilmente riparabili. Il momento più duro è quando i parenti tornano a casa senza i figli». È il caso della mamma di Lucie, costretta per paura del marito a vedere di nascosto la propria figlia. Come unica consolazione rimane forse quella di vedere una ragazzina fuori pericolo e a cui un pugno di missionari ha offerto la possibilità di riconciliarsi con il mondo.

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