Politica
Congo – Riuscirà il voto a portare la pace?
Oggi 25 milioni di congolesi sono pronti per le prime consultazioni democratiche della storia del paese. Lobiettivo è eleggere presidente e parlamento entro giugno
Kinshasa, febbraio
La Repubblica democratica del Congo è a un bivio. Cosa mai piacevole. Ma tant?è. Quando la storia ti assegna elezioni pluraliste dopo un decennio trascorso tra guerre e crisi umanitarie, le vie sono due: o superi l?ostacolo e prosegui tra mille difficoltà sul cammino della pacificazione, o ripiombi in un inferno di cui avresti fatto bene a tirarti fuori. Tante sono le ipotesi per questo paese africano fuori dal comune. In tutti sensi. Geografici innanzitutto, con un?estensione territoriale poco inferiore all?Europa occidentale e una densità umana minima, dispersa in una terra fra le più benedette del pianeta. Almeno in principio. Perché la storia più recente ci insegna che sommato alla mediocrità dei politici congolesi, le straordinarie ricchezze naturali (legname) e minerarie (oro, diamante, uranio, rame, coltan) hanno segnato la fine di un gigante reso fragile dalla dittatura ubuesca di Mobutu (1965-97).
La guerra mondiale africana
In Congo si è combattuta tra il 1998 e il 2004 la più feroce delle guerre contemporanee. La cosiddetta Prima guerra mondiale africana ha coinvolto ben nove paesi (su tutti, i vicini Rwanda, Uganda, Burundi, Angola) e un groviglio di ribelli stranieri e milizie locali, accomunati in un gioco d?alleanze complesse. Secondo una ricerca dell?ong americana International Rescue Committee, oltre 3,9 milioni di persone, in stragrande maggioranza civili, sarebbero rimaste uccise dagli effetti diretti (mine, armi leggere) o indiretti (malattie, epidemie) del conflitto. E la furia dei combattenti non ha risparmiato neanche le infrastrutture: strade, scuole e centri sanitari sono stati ridotti in cenere da scontri armati che fino a due anni fa tagliavano in due il paese (con l?Est sotto occupazione rwandese e ugandese).
Per fermare questa logica di violenza, la comunità internazionale ha inviato nel 2000 circa 5.500 caschi blu incaricati di osservare un cessate il fuoco continuamente violato, la missione Onu per la Repubblica democratica del Congo (Monuc) che è diventata col passare degli anni la più grande missione di peacekeeping nella storia delle Nazioni Unite. Con un budget 2004-05 pari a 1,3 miliardi di dollari, la Monuc si è vista attribuire un?infinita di compiti, l?ultimo dei quali, decisivo, riguarda il supporto logistico e umano all?attuale regime di transizione capeggiato dal presidente Joseph Kabila per l?organizzazione di elezioni legislative e presidenziali entro giugno 2006.
Le elezioni del 18 dicembre…
A Kinshasa, la capitale, il clima è effervescente. E non solo per il caos che contraddistingue i giganteschi ingorghi stradali. Léonard ha cinquant?anni, è analfabeta e di professione fa il tassista. Al pari dei suoi connazionali più colpiti dalla crisi, sente che in giro c?è aria di cambiamento. L?opportunità del voto gli si è presentata il 18 dicembre scorso. Quel giorno Léonard ha per la prima volta in vita sua aperto una scheda elettorale. «Quasi un gioco», ricorda in un francese balbettante. «Bastava macchiare il proprio pollice d?inchiostro e premere sulla casella Sì o su quella No iscritte sulla scheda». Gli è bastato poco per decidersi. Alla proposta di approvare o meno la nuova Costituzione congolese, Léonard ha detto Sì. E non importa se sui contenuti non ci ha capito nulla. «Favorendo il Sì ho contribuito a chiudere i conti con la transizione politica, quindi con la guerra». Una sfida colossale.
Nell?imponente sede della Cei, la Commissione elettorale indipendente, mi accoglie al terzo piano un uomo dal fisico robusto, la serenità stampata sul volto. «Due armi indispensabili per garantire elezioni libere e trasparenti», sorride padre Apollinaire Malumalu. 45 anni, sacerdote cattolico, studi in Francia, anima di organizzazioni della società civile nel Nord Kivu, già rettore dell?università cattolica a Butembo, ora a capo della Cei («a titolo personale?, hanno più volte sottolineato i vescovi congolesi preoccupati della strumentalizzazione politico-religiosa della nomina), è conscio che sulle sue spalle sono riposte le speranze dell?intera nazione. Ma anche della comunità internazionale, che nelle elezioni ha investito ben 422 milioni di dollari. «Siamo partiti da zero con scadenze impossibili», spiega l?abate ancora ferito dai disordini che hanno scosso il paese nel giugno scorso, costringendolo a rinviare le elezioni. Solo per la registrazione dei 25 milioni di elettori, «ci sono voluti sei mesi e 400mila agenti elettorali». Una sfida superata «con successo», nonostante la fiacca partecipazione referendaria (60%) e un?attesa estenuante per i risultati definitivi (un mese).
In attesa che la nuova legge elettorale venga approvata dal parlamento, a minacciare l?intero processo elettorale sono le scorribande armate. Nel Katanga (sud del paese), decine di migliaia di civili sono fuggiti agli scontri che oppongono l?esercito regolare alle milizie Mai-Mai. Gli stessi scenari di violenza e di soprusi si verificano nell?Ituri, nel Nord e Sud Kivu, province situate nell?estremità orientale del paese in cui i civili sono continuamente soggetti alle ire di milizie locali e di ribelli stranieri in cerca di ?legittimazione politica?. A questa logica perversa non si sottraggono alcuni reparti dell?esercito regolare, pronti a saccheggiare case e negozi per compensare paghe irrisorie.
… e quelle decisive alle porte
Da questa instabilità non trae profitto una comunità internazionale costretta a pagare a caro prezzo le amnesie accumulate dagli anni 90 nell?Africa dei Grandi Laghi. Basti osservare quello che è accaduto nell?Ituri. Il 23 gennaio scorso otto caschi blu guatemaltechi sono stati uccisi nel corso di uno scontro a fuoco che li avrebbe opposti all?Lra – Esercito di resistenza del Signore, il gruppo ribelle protagonista negli ultimi vent?anni di violenze inaudite inflitte alle popolazioni del Nord Uganda in nome di una fantomatica guerra di liberazione contro il regime del presidente Museveni. Un esempio fra tanti che dimostra come le radici del male congolese stanno forse lì, in conflitti interni e esterni al Congo, che Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Belgio non hanno saputo risolvere dieci o vent?anni fa.
Non a caso alla Monuc si è più che mai convinti che il destino della regione dipenderà dal successo delle elezioni congolesi. Un successo che l?Unione europea potrebbe favorire con l?invio di tremila soldati. Lo sforzo minimo per una sfida africana che si prospetta decisiva.
La cronologia della guerra congolese
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