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Cassazione: più tutele per le forme di convivenza

Nei rapporti di convivenza, per la Cassazione, non ci sono figli e figliastri: tutti quanti hanno diritto ad essere tutelati in quanto ''espressione di libera scelta della persona"

di Redazione

Nei rapporti di convivenza, per la Cassazione, non ci sono figli e figliastri: tutti quanti hanno diritto ad essere tutelati in quanto ”espressione di libera scelta della persona, ed indipendentemente dai motivi particolari che ne hanno determinato l’insorgere e che comunque appartengono alla sfera della privacy”. In particolare – con una sentenza appena depositata – la Cassazione allarga l’ombrello della tutela risarcitoria a favore dei conviventi che subiscano un danno, patrimoniale o morale, al loro nucleo ‘familiare’, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto sancito ”dalla legge o da un patto”. Dunque con questa nuova affermazione di principio la Suprema Corte estende i diritti giuridici anche alle formule di convivenza ”non necessariamente limitata alla categoria more uxorio”. Sotto questa coperta allargata vi possono rientrare, pertanto, tutti i tipi di convivenza, sia quelli tra parenti, che quelli tra amici, indipendentemente dal fatto che si tratti di una relazione omosessuale od eterosessuale. L’unico requisito necessario per azionare una domanda di risarcimento per danni alla vita di convivenza e’ che questa forma di relazione sia ”dotata di un minimo di stabilita’, tale da non farla definire episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per una attesa di apporto economico futuro e costante”. E’ proprio Piazza Cavour che ammette di aver cosi’ ”svincolato” la convivenza dallo ”stretto ambito dei rapporti more uxorio”, per considerarla – in tutte le sue molteplici forme – ”come situazione di fatto conseguente a libera scelta della persona, tutelata in quanto tale dall’ordinamento”. Il caso concreto che ha portato all’affermazione di questo orientamento dei supremi giudici si riferisce al ricorso di un imputato, Gianluca R., che si opponeva all’ammissione, come parti civili, dei genitori di un ragazzo maggiorenne al quale aveva procurato lesioni personali riportando una condanna alla pena di tre mesi di reclusione convertita in pena pecuniaria in seguito a patteggiamento. In sostanza Gianluca sosteneva di non dover rifondere i danni patrimoniali e morali ai genitori di Andrea L. in quanto nel rapporto di convivenza poteva, al massimo, essere compresa quella ”more uxorio” mentre rimaneva esclusa ”la scelta di coabitazione con i genitori”. Sosteneva Gianluca – per mezzo dei suoi difensori – che ”la scelta naturale di coabitazione con i propri genitori e’ necessariamente destinata a non continuare nel tempo, e dunque non e’ suscettibile di acquisire quei caratteri necessari a creare aspettative qualificabili come diritto assoluto”. Insomma, dato che Andrea, prima o poi se ne sarebbe andato di casa, il tipo di convivenza con i genitori non aveva la caratteristica di longevita’ necessaria ad azionare la domanda risarcitoria per lo stato di infermita’ riportato dal figlio in seguito alle lesioni, per il minor apporto economico che il giovane avrebbe potuto conseguire, e per il danno morale alla loro vita di relazione funestata da questo incidente. Ma la Cassazione ha risposto che la scelta di coabitare con i genitori ”puo’ ormai considerarsi ad un tempo stabile o aleatoria ne’ piu’ ne’ meno che qualunque altra scelta di convivenza operata ad altro titolo, e cio’ in base a comuni osservazioni che trovano poi riscontro in statistiche generalmente note”. In poche parole la Cassazione non puo’ fare a meno di prendere atto dei tempi e di constatare che ”ormai da lunghissimo tempo e’ venuto meno anche il carattere di stabilita’ del vincolo matrimoniale”. Alla luce di queste considerazioni agli ”ermellini” non e’ rimasto altro da fare se non riconoscere la legittimazione a costituirsi parte civile non solo ai genitori della persona offesa, purche’ conviventi – come nel caso affrontato – ma ad estendere questo importante diritto a tutte le forme di convivenza, ”purche’ dotate di un minimo di stabilita”’. Sara’ poi, di volta in volta, il giudice di merito a stabilire se realmente si sia prodotto un danno patrimoniale o morale al rapporto di convivenza, per le lesioni subite da uno dei conviventi – non importa di che sesso o da quale affetto legato all’altra persona – e a liquidarlo nella misura opportuna.

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