Mondo
Questa pazza pazza radio
I redattori di Radio La Colifata sono 25 pazienti dellospedale psichiatrico. Da sei anni lemittente trasmette, seguita da milioni di ascoltatori entusiasti.
«Buenos Dias, mia Buenos Aires, ti voglio bene. Mi hai dato tanto e oggi, grazie a te, sono diventato un altro uomo, sono uno dei tuoi figli….dimmi qualcosa….» Una voce nasale vibra nei microfoni di Radio Colifata. Angel Villa, redattore di Radio Colifata (letteralmente ?Radio la pazza?), trasmette il suo delirante inno alla vita dall?ospedale psichiatrico della capitale argentina.
Il 3 di agosto Radio Colifata compie sei anni. La sua è una storia che fa ridere, sorridere e piangere. Comincia un giorno del 1991, quando uno studente di psicologia, Alfredo Olivera, varca la soglia dell?ospedale psichiatrico Borda, una città nella città che ospita 1600 pazienti. Da allora Alfredo, che per vivere fa indagini statistiche, fa il volontario insieme alla sua compagna, Maria Celia: ogni sabato prepara il programma radiofonico settimanale della Colifata con 25 redattori schizofrenici.
«Vedendo lo stato di abbandono in cui vivevano i pazienti del Borda», spiega Olivera, coordinatore del progetto, «ho avviato un?esperienza terapeutica in cui, attraverso la parola, potessero recuperare fiducia in se stessi. Abbiamo incorporato il loro delirio in una rete di comunicazione pubblica, reinserendoli non solo simbolicamente nella società. Come? Prendendo sul serio la loro follia e obbligandoli ad assumere la responsabilità delle loro parole. Gli effetti sono stati strabilianti: il loro stato d?animo è migliorato, hanno acquistato fiducia nella vita e interesse nel presente. Hanno ripreso a vivere. Abbiamo iniziato con dei microprogrammi di pochi minuti in cui registravamo le riflessioni dei pazienti su diversi temi. Si parlava di donne, di pazzia, di attualità. Poi ognuno di loro ha definito la propria personalità ?specializzandosi? su un tema. Oggi escono in permesso, realizzano reportage, corrispondenze dallo stadio, assistono a eventi culturali e i giornalisti li hanno accettati. Sono già ventisette le radio che trasmettono in tutta l?Argentina i programmi della Colifata».
«…Stavo camminando per le strade di Buenos Aires, quando improvvisamente da dietro un albero appare Lui, con le suole delle scarpe incollate ai piedi, le bandierine nella mano…». Lui è il personaggio di un famoso tango argentino di Astor Piazzolla Balada para un loco, ?Ballata per un pazzo?. Ma lui è anche un loco vero, è Angel Villita, redattore di Radio Colifata. Villita, crede di essere il protagonista della ballata di Piazzolla e di Ferrer; è uno dei ?muchachos?, dei ragazzi dimenticati in manicomio trent?anni fa. Soffre di schizofrenia ed è un testimone di un?epoca che la città ha già dimenticato.
Sessantatré anni, di cui 37 passati nell?ospedale psichiatrico. È arrivato al Borda dopo la rivoluzione del ?58, quando un colpo di stato militare depose il generale Peron e Angel si trovò a combattere dalla parte dei militari come soldato di leva. È piccolino e magro. Spesso, in ospedale, balla il tango da solo, o con uomini, come si faceva agli inizi del secolo. Negli anni ?40, quando era giovane, lavorava come cameriere in una trattoria dove conobbe alcuni grandi interpreti del tango. È un discepolo di Gardel e vive la sua vita come se fosse un tango. Un giorno, per la Colifata, ha fatto un incontro immaginario con l?autore della ballata e lasciando in sottofondo la melodia gli ha detto: «Sa, mi hanno ricoverato perché sono un malato mentale e mi hanno legato a un letto di contenzione, ma ho resistito e oggi sono qui nelle strade di Buenos Aires, conversando e prendendo un caffè con lei. Mi sono guadagnato la mia libertà». E Pîazzolla gli risponde: «Credo che i veri protagonisti della musica e della letteratura siano sempre stati dei pazzi, perché la pazzia è un atto di amore , di dolore e di talento…». Sul sottofondo, Balada para un loco va in crescendo : «…Non vedi la luna correndo per la via Callao… amami così come sono… pazzo, pazzo, pazzo…». La conversazione mandata in onda dalla Colifata si sconclude con un lungo e amaro pianto di Villita che singhiozzando confessa: «…La mia pazzia non è altro che la storia di un tango triste… una sconfitta».
«Agli inizi», spiega Olivera, «io stesso facevo il montaggio e mandavo le cassette a una radio di Buenos Aires che trasmettteva il programma una volta alla settimana. Quando mandavamo in onda le registrazioni, gli ascoltatori telefonavano per fare domande o dire la loro. I matti non erano più una cosa così strana e la pazzia smetteva di essere contagiosa. Si era instaurato un dialogo con la città. In seguito abbiamo acquistato gli strumenti ed è diventata una vera e propria radio».
Il telefono squilla. «È il nostro corrispondente dal cielo che ci parla, puoi parlare Herbert… sei in onda… Buongiorno a tutti gli ascoltatori della Colifata. Qui in cielo si sta benissimo. Fa caldo e si sta bene. Non mancano navi né aerei. Sono solo, seduto in un prato; cerco il volto di Dio, ma non lo vedo, vedo solo me stesso. Sulla terra c?è miseria, tristezza e dolore, ma un giorno tutto cambierà… Gli angeli stanno giocando a pallone, li sto cercando, ma non li vedo…».
Herbert è boliviano; per anni si è incontrato con la fidanzata telepaticamente finché un giorno lei l?ha lasciato. Un giorno era triste, molto triste. Si trovava nel cortile dell?ospedale con altri pazienti e così spontaneamente, davanti ai microfoni della Colifata, ha deciso con i suoi amici di andare a cercare Julieta in Bolivia.
Ognuno si sceglie un ruolo. Salgono su un treno e viaggiano verso il nord in cerca di Julieta. Il loro biglietto è il salvacondotto per uscire in permesso dal Borda. Quando si presenta il controllore, non crede alla validità del loro biglietto e li butta giù dal treno. Dopo mille peripezie arrivano in Bolivia e trovano Julieta. Per Herbert è la coronazione di un sogno a lungo cullato: «Julieta, ti ho aspettato tanto e non ti ho mai dimenticato. Senti questa musica che bella? C?è la luna, stasera andiamo a passeggiare, non piangere, non ci perderemo mai più». Il dramma radiofonico realizzato sul momento dai pazienti si conclude in pìanto, risa e abbracci finali.
«Un altro personaggio fondamentale per capire lo spirito della Colifata è Garcès», ricorda Olivera. «Ha 50 anni, di cui la metà passati in manicomio. Suo padre era un ideologo dell?estrema destra.
La famiglia l?ha fatto internare 25 anni fa e poi si è dimenticata di lui». Garcès è alto e magro; gira sempre con una valigia piena di fogli su cui appunta i suoi aforismi contro la psichiatria tradizionale. Garcès è il filosofo, è stato lui a scegliere il nome ?Colifata?. Anche lui è schizofrenico paranoico, ma rivendica la sua pazzia, dice di essere il più pazzo di tutti. Dice sempre : «Un giorno gli psichiatri verranno considerati malati di mente e, anche se quel giorno sarò già morto, ricordatevi di me: come i sacerdoti sanno di non essere per forza dei santi, un giorno i medici capiranno di non essere mai stati sani». Ma la sua frase preferita è questa: «O dolce catena della salute mentale, tu che tarpi le ali suicide della libertà della pazzia…».
In Argentina la Colifata ha già scatenato un?ondata di solidarietà.
Una coppia di pensionati ha regalato una vecchia Citroen per trasportare gli strumenti, mentre un pittore molto conosciuto, Perez Celis, ha donato due quadri preziosi. Il programma si è conquistato un premio giornalistico e un redattore tedesco ha inviato una antenna nuova, ma la sua fama ha già varcato le frontiere nazionali . Qualche mese fa un programma della Colifata è stato trasmessa da una radio di Miami. E una pioggia di lettere è caduta sull?ospedale Borda. Arrivano da tutti i paesi dell?America latina, perfino dall?Australia e dalla Nuova Zelanda. Un delirio si aggira per per l?America Latina. Dalla Terra del Fuoco alle frontiere del Messico. Un giorno forse potremo sentire anche qui da noi: Buenos dias mia cara Buenos Aires, ti voglio bene». E alloral?Elogio della pazzia profetizzato da Erasmo da Rotterdam sarà diventato realtà.
L?opinione
Anch?io, anni fa
L?esperienza della Colifata mi sembra una grossa novità. Mi fa venire in mente un episodio avvenuto agli esordi della mia carriera. Facevamo delle trasmissioni alquanto curiose, fra cui una che ha preceduto Bandiera gialla. Fingevamo di essere una radio pirata e ci arrivavano tantissime lettere dalla case di cura e dagli ospedali psichiatrici. Evidentemente sono stati i primi a recepire i nostri strani messaggi. Conservo ancora queste lettere. Non ho mai capito, però, se prendevano sul serio ciò che dicevamo. La Colifata è un?ulteriore conferma del fatto che la comunicazione vince su tutto. L?esperienza che sto facendo come testimonial della lega del Filo d?oro, mi ha fatto capire quanto la comunicazione possa affermarsi a tutti livelli, anche in territori a noi sconosciuti. La vita vince sempre, non c?è dubbio. Sono esperienze da guardare con molta attenzione. È capitato in Argentina, spero che si ripeta in Italia.
di Renzo Arbore
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