Economia

Voucher e accreditamento, oltre la logica dell’appalto

Welfare sanitario: viaggio nelle regioni alla ricerca delle buone pratiche. Qui Lombardia

di Chiara Sirna

La rivoluzione è iniziata, ma la pagina della svolta è ancora tutta da scrivere. E infatti i numeri sono contenuti. A usufruire dei voucher sociali in Lombardia, avviati tre anni fa in via sperimentale, nel 2005 sono state 23.706 persone, spalmate su 98 distretti, per un totale di 205.728 prestazioni e una spesa, a carico della Regione, di 43.551.373 euro. Quella del voucher è l?ultima novità sul fronte dell?integrazione dei servizi socio-sanitari tra il sistema pubblico e il privato sociale. «Molto meglio dell?appalto», commenta Felice Romeo, presidente Alcts – Associazione lombarda cooperative di turismo e servizi, «ma c?è ancora da lavorare per farlo funzionare correttamente». In primo luogo per ampliare il raggio dell?applicazione, diffusa finora a macchia di leopardo, poi per innescare un meccanismo di presa in carico e operatività che non sia ad esclusivo vantaggio del committente. E quindi dell?ente pubblico. Il meccanismo lo spiega ancora Romeo: «È un buono consegnato al cliente che sceglie, da un albo fornitori, a chi affidarsi per l?erogazione del servizio, l?intervento della cooperativa deve seguire poi il piano stilato dall?assistente sociale in Comune». Punti deboli Ma i tempi di rientro nei pagamenti sono ancora troppo lunghi e le tariffe inadeguate. «Si accumulano ritardi nel saldare i conti», continua il presidente Alcts, «e le tariffe sono troppo basse rispetto al servizio fornito». Se si considera infatti che in base alla tripartizione dei pazienti, stabilita per fasce di ?gravità?, il rimborso massimo consentito è di 650 euro, il conto è presto fatto. «Quei soldi», aggiunge Romeo, «in caso di malattie oncologiche gravi bastano a coprire non più di dieci giorni, perché comprendono anche i costi dei farmaci». Appalti e accreditamenti E il resto? Il voucher è ancora una piccola nicchia del mercato socio-sanitario in mano alla cooperazione sociale lombarda. «Il 75-80% dei servizi», aggiunge Romeo, «funziona ancora con appalti selvaggi, che diventano poi mero trasferimento di manodopera a danno della qualità del servizio: si va dall?integrazione di personale nei nidi a figure per l?assistenza domiciliare, dal personale nelle Rsa sino a gestioni complesse di strutture, nel caso in cui i Comuni siano per esempio i proprietari e noi i concessionari». Il panorama cambia quando si parla invece di accreditamento: con le cooperative dunque contemporaneamente proprietarie ed enti gestori. «Non si è più semplici fornitori di braccia», precisa Romeo. «La cooperativa si struttura per coordinare tutto il processo produttivo, quindi fa il salto di qualità». Qualità che poi però spesso ricade sui costi vivi per i pazienti: in media almeno dai 5 ai 10 euro in più per giornata di degenza o prestazione, anche rispetto al privato profit. Ma col risultato di garantire standard più elevati. «Noi garantiamo due fisioterapisti ogni 60 persone», racconta Romeo, «uno standar quasi doppio rispetto alla normativa regionale». Eppure il ritorno economico non manca: sono 30 le cooperative socio-sanitarie accreditate in Lombardia soltanto all?interno del sistema Legacoop, con oltre 5mila lavoratori coinvolti e un fatturato aggregato di 130 milioni di euro l?anno. Cifre alle quali bisogna sommare altre 80 cooperative di servizio per la gestione dei centri diurni per disabili e l?assistenza domiciliare, con un fatturato complessivo di altri 210 milioni di euro l?anno. In totale fanno 340 milioni di euro. «L?accreditamento sarebbe la carta migliore da giocare», dice Romeo. Peccato però che il Piano socio-sanitario regionale 2006-2008 li abbia stoppati in blocco. «Ci vogliono parecchi soldi da investire», aggiunge, «a livello riabilitativo abbiamo solo una struttura accreditata, la Crm di Milano, per il resto sono Rsa, centri diurni, nidi, ma entriamo in punta di piedi. Calcoli che per una Rsa servono in media 5-6 milioni di euro». Rischi e derive Sul fronte esternalizzazione invece qualche pericolo incombe. «La voucherizzazione selvaggia sarebbe impensabile», spiega Romeo, «perché non tutti i servizi sono voucherizzabili». Nel caso delle Rsa si aprirebbe infatti un business enorme, per i servizi educativi invece una deriva ?pericolosa?. «Senza contare che in alcuni Piani di zona siamo coinvolti nella progettazione e nel coordinamento», aggiunge Romeo, «ma in certi territori restiamo semplici erogatori». Buone pratiche


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