Sostenibilità

Mille piedi nel Parco

Il Club Alpino Italiano si candida con i suoi 300 mila iscritti a gestire le riserve naturali italiane. Nel Veneto li hanno già arruolati. E loro si preparano per altre sfide

di Gabriella Meroni

Parchi in crisi finanziaria, commissariati, senza dirigenza né strategie di intervento. Oppure già strutturati ma costretti a ripiegare su se stessi, chiudendosi all’esterno. Una legge che ha ritagliato una quota di territorio protetto senza dotarlo degli strumenti per poter crescere, suscitando solo il malcontento della popolazione locale. Per tentare di modificare questa situazione le associazioni ambientalistiche da tempo si sono mobilitate per avvicinare il parco ai suoi fruitori naturali, cioè tutti noi, attraverso varie iniziative condotte parallelamente a quelle ufficiali. Ma da oggi qualcosa cambierà. Per la prima volta in Italia, infatti, nella gestione dei parchi nazionali si tenta la strada della collaborazione effettiva tra pubblico e privato non profit, valorizzando quindi le forze di chi è da tempo impegnato nella tutela ambientale.

A lavorare insieme, in questo caso, saranno gli Enti parco e il Cai, il Club Alpino Italiano, che con i suoi 320 mila iscritti sparsi per 430 sezioni costituisce senza dubbio la realtà associativa più importante nel campo della conservazione dell’ambiente naturale e montano. Grazie a un accordo siglato il mese scorso i rappresentanti dell’associazione sono diventati i “co-gestori” di un parco nazionale, quello delle Dolomiti bellunesi. Il progetto pilota, che diverrà operativo questa settimana, prevede che i volontari costituiscano un gruppo di lavoro misto, composto cioè anche da rappresentanti dell’Ente, e svolgano una serie di attività conservative, ambientali e culturali nell’area protetta, nella quale tra l’altro sono presenti sei rifugi già gestiti da iscritti al Cai.

Il nuovo team di operatori curerà la manutenzione dei sentieri e manterrà il controllo dei rifugi, che verranno però trasformati in punti di informazione e di distribuzione di materiale informativo sul Parco stesso; inoltre i volontari del Cai favoriranno l’ingresso dei visitatori nel parco, organizzando percorsi ed escursioni per turisti, ma dovranno anche a valutare l’impatto ambientale che gli ospiti delle Dolomiti avranno impresso sulla natura.

«Il nostro Parco ha avuto molti problemi a causa dei soliti intoppi burocratici», dice Cesare Lasen, presidente dell’Ente Parco delle Dolomiti bellunesi. «Istituito nominalmente nel ’90, è rimasto fino ad oggi senza strutture. I cantieri per realizzare le opere previste, infatti, sono stati aperti solo quest’anno, quando ci sono arrivati parte dei finanziamenti previsti per il triennio ’91-’94. Intanto, per la gestione abbiamo ritenuto utile affidarci al Cai, che ha gli stessi nostri obiettivi, e tra l’altro si avvale di volontari».

«L’accordo siglato tra noi e il Parco può diventare un modello da seguire per tutti gli altri parchi italiani», gli fa eco il presidente del Cai, Roberto De Martin. «E già alcuni direttori ci hanno segnalato il loro interesse. Il Cai ha sia i numeri sia le professionalità per candidarsi a cogestire molti parchi italiani. Fummo proprio noi, nel 1993, a fare pressione sull’allora ministro Valdo Spini perché promulgasse i regolamenti attuativi senza cui i nuovi parchi non avrebbero avuto neppure gli strumenti embrionali per operare. E da sempre siamo presenti, dalle Alpi alla Sicilia, ovunque il nostro intervento serva a preservare l’ambiente».

Meglio quelli regionali

Almeno sulla carta, i parchi nazionali italiani sono attualmente 17. I primi cinque parchi ?storici? furono istituiti fra gli anni ?20 e ?60: sono quello del Gran Paradiso (1922), d?Abruzzo (1923), del Circeo (1934), dello Stelvio (1935) e della Calabria (1968). A essi, nel 1991 se ne sono aggiunti altri 12: a nord Valgrande e Dolomiti Bellunesi. Al centro: Foreste casentinesi; Monti Sibillini; Gran Sasso e Monti della Laga; Maiella; Arcipelago Toscano. Al sud: Vesuvio; Gargano; Cilento; Pollino; Aspromonte. Il parco del Gennargentu e Golfo di Orosei è rimastodel tutto sulla carta, anche per l?opposizione sarda. Oltre a quelli nazionali, esistono però in Italia più di duecento aree protette, fra parchi regionali, riserve naturali, zone umide, oasi e rifugi, riserve marine e parchi archeologi. La differenza? Funzionano meglio…

L?opinione

Sono nata all?interno del Parco nazionale dello Stelvio, a Santa Caterina Valfurva, ma non posso dire di essere un?esperta delle problematiche dei parchi. E anche se sono guardia forestale, facendo parte del gruppo sportivo non ho esperienze in materia. Posso dire però quanto è sotto gli occhi di tutti. Il problema dei boschi, ad esempio. Mi sembra che nel Parco il sottobosco non sia curato più a dovere, che nessuno lo pulisca più, e che gli alberi crescano vicini e troppo deboli per resistere alla neve o al vento. Forse il Parco dello Stelvio è troppo grande, però credo che si potrebbe curare di più. Girando le montagne del mondo per le gare ho visto boschi tenuti meglio. Ma quelli erano boschi privati, ed era il proprietario stesso che pensava a tenerli in ordine.
Poi c?è il problema degli animali. Cervi e caprioli adesso sono troppi, perché non ci sono predatori in grado di moderarne lo sviluppo, garantendo l?equilibrio dell?ecosistema. Si parla tanto di Parco, ma tutto è lasciato andare. Le persone che sanno o potrebbero lavorare ci sono, ma forse non vengono coordinate bene. Altro esempio: hanno tolto l?acqua a un bellissimo ruscello sopra Santa Caterina perché un privato doveva farsi la centralina elettrica. L?acqua poi avrebbe dovuto ritornare al letto del fiume, invece è misteriosamente sparita. Così il ruscello è prosciugato e nessuno è intervenuto. Dov?erano le autorità del Parco?

di Deborah Compagnoni

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