Volontariato

Le parole che cambiano /Politica

Esercizio del potere o servizio? Questione più che mai attuale. Per risolverla occorre ritornare al punto zero: ne parla con noi Savino Pezzotta

di Riccardo Bonacina

politica, s. f. 1. Arte, scienza del governo e dell?amministrazione dello Stato. 2. Insieme di decisioni e provvedimenti con cui i governanti amministrano uno Stato nei vari settori e secondo diverse prospettive ideologiche. 3. Attività di chi partecipa attivamente alla vita pubblica. (dal Dizionario italiano Sabatini Coletti)

Vita: Proviamo a ragionare su cosa è oggi la politica e su cosa significa che la politica deve essere servizio. Su come si deve fare affinché la politica non umili il sociale. E, soprattutto, perché l?autonomia del sociale conviene sia alla politica che al sociale. Savino Pezzotta: Bisogna sempre partire dalla realtà per capire le dimensioni delle cose, la loro giusta dimensione e la giusta gerarchia. E nella vita la dimensione sociale viene prima di quella politica. La cura di sé e degli altri avviene dentro la relazione. Ci si incontra, ci si riconosce, si dialoga, si mettono in comune bisogni e risposte, si prova ad essere amici? Questo è il sociale, e ovviamente è una dimensione originaria, una dimensione primaria. Cosa che purtroppo la politica non riconosce o fatica a riconoscere perché, spesso, è troppo famelica. Una volta riconosciuto questo dato di fatto, bisogna fare un secondo passo: bisogna riconoscere che il sociale ha bisogno di strutturarsi, di dar vita a istituzione prepolitiche affinché le relazioni tengano e rendano capaci di affrontare i bisogni. Nascono qui la famiglia, le associazioni, le organizzazioni della società civile, le forme cooperative, i sindacati? Da questo punto di vista riconoscere e difendere l?autonomia del sociale è un punto fondamentale della vita democratica: significa riconoscere la libertà per i cittadini di mettersi insieme per raggiungere degli obiettivi. Vita: Quando invece la politica umilia il sociale? Pezzotta: Quando non lo riconosce, quando cerca di dominarlo e di strumentalizzarlo. Io, in questi ultimi anni, mi sento di dire che c?è un tentativo di restringimento e condizionamento del sociale. Cito un esempio preso dal linguaggio sindacale, che è sempre complicato: quando uno non si riconosce né con la possibilità di rappresentare la società e i suoi interessi né con la concertazione come metodo di composizione degli interessi, lì la politica compie un atto di umiliazione del sociale. Perché non lo lascia esprimere, lo vede come un soggetto subordinato, nega la sua politicità. Quando – come ha fatto l?ultima Finanziaria – taglio i soldi alla cooperazione internazionale, umilio il sociale, perché i soldi alla cooperazione internazionale normalmente vanno alle forme organizzate della solidarietà. Potremmo fare mille esempi come questo, però il problema non è quello di fare una classifica delle umiliazioni subite dal sociale; il problema che abbiamo oggi di fronte è quello di affermare la primizia del sociale rispetto alla politica, perché è in pericolo. Vita: Il sociale non cede più alla tentazione del collateralismo? Pezzotta: Dobbiamo anche riconoscere che tante volte noi stessi ci umiliamo: perché si ha bisogno di un favore, perché in cerca di un finanziamento, perché se facciamo finta di niente porto a casa un buon contratto? Abbiamo bisogno di un sociale che cammini eretto, in piedi. Che diventi stimolante, provocante, interrogante per chi ha in mano la direzione del governare e del decidere. Oserei dire che bisogna sapere quanto si è disposti a rischiare per mantenere la libertà. Perché non si dà libertà di un?organizzazione, una associazione, un gruppo senza mettere in conto che bisogna pagare un prezzo per questo. Nessuno dà niente gratis. Ricordo quando andammo da Giovanni Paolo II per i 25 anni di Solidarnosc, l?11 novembre 2004. Successe una cosa che mi sorprese e che trovo di una grande attualità: tutti pensavamo che il Papa polacco si limitasse a fare un mare di complimenti a noi sindacalisti e ai rappresentanti del sindacato polacco. Invece fece un intervento interessantissimo, sintomatico di un modo di pensare. Parlando di Solidarnosc, a un certo punto, disse: avete sbagliato tutto, perché siete diventati un soggetto partitico e siete usciti dalla vostra vocazione. Vita: Si ricorda esattamente quella parte del discorso di Giovanni Paolo II? Pezzotta: Certo, posso citare parte di quel discorso. Ecco cosa disse il Papa: «Nell?anno 1981, mentre ancora perdurava lo stato di emergenza, dissi ai rappresentanti di Solidarnosc: ?L?attività dei sindacati non ha carattere politico, non deve essere strumento dell?azione di nessun partito politico, per potersi concentrare in modo esclusivo e pienamente autonomo sul grande bene sociale del lavoro umano e degli uomini del lavoro? (15 gennaio 1981). Sembra che proprio la politicizzazione del sindacato – probabilmente dovuta alla necessità storica – abbia portato al suo indebolimento. [?] Pare che Solidarnosc, entrando in una certa tappa della storia direttamente nel mondo della politica e assumendo la responsabilità per il governo del paese, abbia dovuto per forza rinunciare alla difesa degli interessi dei lavoratori in molti settori della vita economica e pubblica. Mi sia permesso di dire che oggi Solidarnosc, se veramente vuole servire la nazione, dovrebbe tornare alle proprie radici, agli ideali che l?illuminavano come sindacato. Il potere passa di mano in mano, e gli operai, gli agricoltori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e tutti gli altri lavoratori, indipendentemente da chi detiene il potere nel paese, attendono aiuto nella difesa dei loro giusti diritti. Qui Solidarnosc non può mancare». Che grande verità sottolineò in quell?occasione Giovanni Paolo II: per i sindacati non ci sono mai governi amici, ma solo governi con cui interloquire. In questo senso bisogna fare uno sforzo vero: abbiamo bisogno che la dimensione dell?organizzazione e della società che si organizza, si struttura e genera movimenti, continui ad essere vitale, perché altrimenti chi interroga la politica, chi pone i bisogni al centro dell?arena? Io, come segretario della Cisl, ho il dovere di portare i bisogni, i desideri, le speranze dei lavoratori, non il consenso. Ecco, sogno una politica che non solo permetta questo, ma che lo incoraggi. Vita: Quale ruolo per la politica, quindi? Pezzotta: Cogliere quanto emerge da ciò che è rappresentato, richiesto, esigito dal sociale e dall?economico per farne una mediazione, metterlo insieme, organizzarlo all?interno di una visione del bene comune. Quello è il dovere della politica. Ma se io non rappresento alcun bisogno, la politica si confronta solo con i poteri forti, che sono poi quelli della dimensione economica. Ecco perché abbiamo bisogno di questo ?fare rappresentanza?. I poveri, i deboli, quelli che non giocano in Borsa, o si mettono insieme e si organizzano, danno una dimensione strutturata alla loro presenza, o falliscono e si immiseriscono ulteriormente. Come diceva don Milani: «Dalle difficoltà si esce insieme», non da soli. Bisogna difendere le aggregazioni sociali, i modi dell?organizzarsi, a partire dalla struttura famigliare che è il nucleo iniziale di questo incontrarsi. Se è vero che la personalizzazione avviene nella misura in cui sono in grado di dirti «ti voglio bene», nella dimensione famigliare c?è tutto, l?innamoramento, l?amicizia, il «ti voglio bene»: e allora bisogna ripartire da lì. E salire, lentamente, attraverso le associazioni, i sindacati, le rappresentanze, e arrivare a condizionare, governare, orientare, aiutare il potere politico a tener conto degli stimoli della società. Altrimenti c?è una sola alternativa: il rimanere soli e in balìa del potere. Vita: Cosa intende? Pezzotta: Intendo che se la politica si rapporta con l?individuo, gli individui sono costretti a mettersi in competizione gli uni contro gli altri. Ecco un?altra ragione ancora per difendere e rilanciare l?autonomia del sociale: perché non vogliamo che la politica sia solo esercizio del comando ma servizio alla società. Ma perché ci sia una politica come servizio occorre una società plurale e organizzata che sappia contrastare la politica come rapporto tra istituzioni e individui soli. Non basta andare a votare ogni cinque anni, bisogna mantenere viva la società e i suoi percorsi partecipativi, se non vogliamo una moltitudine di uomini soli in balìa del potere.
  • Chi è Savino Pezzotta Il sindacalista che guarda all’Africa Savino Pezzotta è nato il 25 dicembre 1943 a Bergamo. A 15 anni entra in fabbrica come operaio tessile. È lì, tra le macchine di fissaggio, che Pezzotta sceglie l?impegno sindacale. Nel 2000 è nominato segretario confederale della Cisl. Sposato, due figli, nel tempo libero si dedica alle letture, al giardinaggio e alla navigazione in rete. Il suo sogno (quasi) proibito è l?Africa: vorrebbe lavorare per la promozione dei diritti umani nel continente. E infatti, assieme a Walter Veltroni è stato fra i promotori di Italiafrica.

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