Volontariato

Fase due, ovvero largo all’efficienza

Intervista. Giuseppe De rita, segretario generale del Censis

di Francesco Maggio

Il ?primo tempo? è stato duro. La posta in gioco era altissima: il diritto stesso ad esistere del settore non profit in Italia. E, quindi, fin quando non è arrivata l?ufficialità, ossia il fatidico censimento Istat del 2001 che, dati alla mano (freschi ma già abbondantemente ipotizzati da vari centri studi), ha decretato che in questo paese il terzo settore è vivo e vegeto, l?atteggiamento di sufficienza con cui era guardato abbondava. Ma adesso che la fase ?rivendicativa? è finita da un pezzo, i numeri non bastano più. Adesso comincia il secondo tempo: il non profit deve sapersi guardare ?dentro? e porsi una domanda tanto elementare quanto ineludibile: quanto valgo? A sottolineare l?urgenza di trovare risposta a questa domanda è Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, che ha curato la prefazione dello studio Valutare il non profit, realizzato con il sostegno della Fondazione Unidea. E che in questa intervista spiega che fase sta attraversando oggi il terzo settore. SocialJob: Professore, perché c?è bisogno di ?valutare il non profit?? Giuseppe De Rita:Per dargli più qualità. Ormai il non profit, il sociale, l?associazionismo si sono moltiplicati in maniera tale che tutti i gatti sono diventati grigi. Non si capisce chi fa le cose bene, chi non le fa bene, chi non le fa per niente. Quando un prodotto si ?moltiplica?, il problema è capire se c?è selettività. Le faccio un esempio. Se in un paese ci sono 20 università, io posso anche disinteressarmi di questo mondo. Se invece ce ne sono 100 e gli iscritti sono centinaia di migliaia, allora è evidente che c?è bisogno di capire che cosa fanno queste università e come lo fanno. Il loro impatto ?civile? è troppo rilevante per potermene disinteressare. Allo stesso modo, se ho 3mila cooperative sociali, ho bisogno di capire se sono trasparenti, quale eontologia professionale contraddistingue chi ci lavora e molto altro ancora. Anche perché nel sociale l?improvvisazione continua ad essere diffusa. SJ:Nella prefazione allo studio di Unidea lei sottolinea la ?sovrabbondanza? di sociale che c?è oggi in Italia. Cos?è che stona in questa sovrabbondanza? De Rita: Parafrasando Baudrillard che vent?anni fa diceva che «quando tutto è politico si rischia che nulla più sia politico», anche per il sociale vale tale similitudine. Se anche Marco Pannella, l?alfiere delle libertà individuali, fa discorsi su temi sociali, allora io voglio essere l?unico ?non sociale? che c?è in giro. Fuor di metafora io dico: fermiamoci e ragioniamo. SJ:Che ?secondo tempo? attende adesso il non profit? De Rita: Il secondo tempo è il passaggio dalla buona volontà all?efficienza. Di solito si sostiene che quando c?è il sociale non è necessario misurare l?efficienza. E ci riempiamo la bocca di quanti sono i volontari, le associazioni. Ma nessuno si spinge a comprendere che sociale oggi vuol dire anche trasparenza ed efficienza. Condivido quanto scriveva qualche tempo fa Tommaso Padoa Schioppa per il quale più sociale di una coop è una compagnia aerea low-cost che con 100 euro permette a una famiglia intera di farsi una vacanza. Oggi con 100 euro non si riesce a pagare nemmeno un assistente sociale a Canicattì. L?efficienza che il mercato garantisce, il sociale la nasconde come se si trattasse di una dimensione non necessaria. SJ:Condivide la tesi di Giorgio Ruffolo per il quale il mondo cooperativo dovrebbe aiutare le coop sociali a compiere un salto di qualità? De Rita:In parte. Il mondo cooperativo ha davanti due alternative: o diventa sistema o diventa contenitore. Per ora è stato un contenitore. Per diventare sistema ha bisogno di due condizioni: una governance interna tipo holding; una capacità di fare finanza per tutto il sistema. È vero, quindi, quello che dice Ruffolo che c?è bisogno di alzare l?asticella della cooperazione sociale, ma è anche vero che il mondo cooperativo ha bisogno di ?sistema? altrimenti questa espressione rimane molto simile a quella di ?mondo cattolico?, che non si capisce cosa sia. SJ:Secondo lei attribuire un rating alle organizzazioni non profit le aiuterà a diventare più trasparenti? De Rita: Su questo punto bisogna intendersi, partendo da come è nato il progetto della fondazione Unidea: dovendo ogni anno erogare alcuni milioni di euro per finalità di pubblica utilità, ha scelto di seguire criteri il più possibile selettivi. Definire quindi alcune griglie di valutazione significa creare le condizioni affinché le organizzazioni non profit, sentendosi osservate, siano spronate a comprendere dove si forma l?efficienza interna.


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