Welfare

Carcere, i numeri choc

Inchiesta. Tramontato il provvedimento di clemenza, ecco la realtà dei penitenziari

di Redazione

Quando si parla di carcere le leggi sono una cosa, la realtà un?altra. E non solo nel caso dell?amnistia e dell?indulto. Un esempio? Il nuovo regolamento penitenziario approvato nel 2000, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2005 e che invece è rimasto sulla carta. Quel testo prevede celle singole da 9 metri quadrati. Mai una norma è stata tanto lontana dalla realtà. E allora per raccontare il pianeta carcere non rimane che affidarsi ai numeri. Vita li ha raccolti per voi. Nelle 207 carceri italiane, a fronte di una capienza regolamentare di 41.470 detenuti, vivono 59.125 persone. L?Italia si colloca così al terzo posto nella classifica europea della densità penitenziaria, alle spalle di Grecia e Ungheria. Di fianco alla ?capienza regolamentare?, però esiste un altro parametro. Si chiama ?capienza tollerabile?, uno standard che il provveditore lombardo, Luigi Pagano definisce «empirico» e che il ministero di Giustizia ha reso pubblico in un?unica occasione: nella relazione del 30 giugno 2003, quando ha valutato la capienza tollerabile in 60.862 presenze. Questo limite, secondo le previsioni degli osservatori, potrebbe essere superato fin dalle prossime settimane, quando gli effetti della ex Cirielli incominceranno a farsi sentire. Ma già due anni e mezzo fa c?erano situazioni che via Arenula evidentemente considerava intollerabili. Scorporando il dato del 2003 come ha fatto l?ex presidente dei deputati radicali al Parlamento europeo, Maurizio Turco, si scopre infatti che oltre un detenuto su tre (37,33%) vive in condizioni di affollamento intollerabili, il 52,08% in condizioni non regolamentari e il 10,59% in condizioni regolamentari. Stretti, e la salute ci rimette. Negli ultimi otto anni, dietro le sbarre sono morte 1.191 persone e 448 di queste si sono tolte la vita volontariamente. Un dossier del Centro studi Ristretti orizzonti, interno al carcere Due Palazzi di Padova, rileva che nello stesso periodo, l?anno appena concluso è stato il peggiore dal punto di vista dei suicidi (58), secondo solo al 2001 (69). Il garante dei detenuti di Roma, Luigi Manconi, in uno studio pubblicato nel 2002 sulla rivista Politica del diritto, ha verificato come in carcere ci si ammazzi 19 volte di più di quanto avvenga fuori. La fascia più a rischio è quella compresa fra i 25 e i 35 anni, nella quale si registra il 53% dei suicidi. Il nesso fra suicidi e sovraffollamento è diretto. Il boom degli atti di autolesionismo avviene fra il 1991 e il 1992 (quando si passa da 29 a 47 suicidi) parallelamente all?incremento delle dimensioni della popolazione carceraria, che da 31mila arriva a oltre 44mila detenuti. Un trend che non è stato più interrotto. Non sorprende quindi che il 93% dei suicidi si verifichi in istituti sovraffollati. Nel 2002 infatti il tasso di suicidi nelle carceri sovraffollate è risultato di quasi 5 punti percentuali più alto di quello rilevato nelle strutture regolamentari. Altri numeri. Secondo Patrizio Gonnella, presidente dell?associazione Antigone, il 69,31% dei detenuti non ha l?acqua calda in cella, il 60% dorme a fianco del bidet o del water e il 55,6% vive senza poter accedere ai colloqui in spazi aperti. Allarmante il quadro sanitario: secondo i medici penitenziari (vedi www.dirittiglobali.it), il 7,5% dei detenuti sarebbe sieropositivo, il 38% positivo al test per l?epatite C e il 50% a quello dell?epatite B. Nel 57,5% degli istituti si sono verificati casi di tbc e nel 66% di scabbia. Dal 2001 al 2005, intanto, i fondi della sanità penitenziaria sono stati dimezzati. Gli uomini rappresentano la stragrande maggioranza (95,2%), ma 44 delle 2.858 donne recluse convivono dietro le sbarre con 45 figli con meno di tre anni. Le prigioniere in stato di gravidanza al 30 giugno 2005, erano invece 38. Questo malgrado nel 2001 sia stata approvata una legge ad hoc, la n. 40. La fascia d?età fra i 25 e i 39 anni comprende il 53,6% dei ristretti. Gli stranieri sono in crescita: nel primo semestre del 2005 hanno infatti rappresentato il 43% dei 44.345 ingressi dalla libertà (per lo più marocchini, il 21,5%, e albanesi, il 15,2%). Al 30 giugno 2005 si contavano 16.179 tossicodipendenti (il 27,4%) e 1.386 alcooldipendenti, e solo in 1.974 risultavano in trattamento metadonico. Modesto il livello culturale: appena lo 0,9% dei detenuti è infatti in possesso di una laurea, mentre il 66,1% si divide fra chi ha la licenza media inferiore, quella elementare, nessun titolo di studio o risulta analfabeta. Dei 59.125 detenuti, i condannati in via definitiva sono il 62% (36.995) e le pene tra i 3 e i 6 anni comprendono la percentuale più consistente dei ?definitivi?, il 30,7%. Nella graduatoria dei reati, quelli contro il patrimonio svettano con il 30,8%, davanti alle violazioni della normativa sulle armi (16,4%) e di quella sulla droga (14,9%). I reati contro la persona riguardano invece il 14,6% delle condanne e l?associazione di stampo mafioso il 2,6%. Infine il lavoro. I detenuti lavoranti sono 14.595, ossia il 26,2% dei reclusi: la gran parte alle dipendenze dell?amministrazione penitenziaria e solo 2.771 assunti da datori esterni. Il cappellano Motivi di sicurezza, poi tutto è lecito Motivi di sicurezza. «Con questa formula magica si giustifica tutto, dal sovraffollamento alle carenze sanitarie, fino alla limitazione dei rapporti familiari». A parlare è don Raffaele Sarno, responsabile pugliese della Caritas, portavoce della Conferenza regionale volontariato e giustizia, da 7 anni cappellano nell?ex supercarcere di Trani e da 20 volontario dietro le sbarre. All?amnistia non ci ha mai creduto, «l?ho ripetuto persino durante l?omelia di Capodanno: ragazzi toglietevelo dalla testa». Qui dentro i reclusi si dividono in due categorie, a seconda di dove vivono. «I cameroncini sono celle pensate per 5 persone dove, grazie ai letti a castello, si arriva a stipare 15 detenuti. Il bagno però è a parte. Nei cubicolial massimo ci sono due persone, ma letto, comodino, lavandino e water sono separati da pochi centimetri». Condizioni che per giorni hanno alimentato le speranze dei 200 ragazzi di don Raffaè. «Fino ad ora, più che maturità ho visto tanta rassegnazione. Adesso spero che nessuno perda la testa».


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