Famiglia

Donne in gravidanza: un documento del Comitato di bioetica

Sarà reso pubblico venerdì un documento sull'aiuto alle donne in gravidanza e depressione post partum. Ecco un'anticipazione con il professor Eusebi, coordinatore del gruppo che vi ha lavorato

di Sara De Carli

Al termine della seduta plenaria di venerdì 20 gennaio, Francesco D’Agostino – Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica – presenterà i due ultimi documenti approvati dal Comitato stesso: il primo sull’aiuto alle donne in gravidanza e la depressione post-partum, il secondo sulla bioetica con gli anziani. Visto il clima di rinnovato interesse sull’argomento, Vita ha chiesto qualche anticipazione del primo documento al professor Luciano Eusebi, che ha coordinato i lavori della parte relativa all’aiuto alla donna in gravidanza. ?Abbiamo cominciato a riflettere su questo tema tre anni fa?, ci dice, ?sotto l’onda dei molti casi di neonaticidio avvenuti. Poi abbiamo capito che dovevamo scindere i due capitoli, la depressione post partum e le esigenze della gravidanza qua talis, che è sempre e comunque uno stato che esige attenzioni e aiuti, risposte sociali e risposte istituzionali. Ha avuto una lunga gestazione perchè il confronto è stato serrato, e volevamo evitare equivoci. Il testo finale è molto chiaro, assolutamente non equivoco?. Il documento ha un’ampia cornice introduttiva che mette a fuoco proprio questo: l’esigenza di considerare la maternità non come un puro fatto biologico ma come un evento complessivo, una ?crisi? per l’identità della donna e delle sue relazioni. Ovvero il passaggio dalla ?gravidanza? alla ?maternità?. Si parla di educazione, della necessità che ogni gravidanza sia seguita da un’équipe in cui accanto al ginecologo ci sia uno psicologo, della formazione particolare dei ginecologi e del personale sanitario, perché nel momento in cui comunicano lo stato di gravidanza siano capaci di dare ampio spazio all’ascolto e colgano i possibili conflitti rispetto alla medesima, di indagini sulla salute del feto. Ma la parte forse più interessante per la cronaca è quella relativa all’interruzione di gravidanza. La cosa positiva, dice Eusebi, è che ?pur in questo contesto che i giornali presentano come surriscaldato e confuso, un organo superpartes come il Comitato, in cui sono davvero presenti pareri molto diversi, ha saputo trovare una posizione condivisa, riconoscendo che alcune parti della legge 194 – nello specifico l’articolo 5, relativa al concetto di aiuto alla donna – non sono state attuate?. Ecco alcuni stralci del documento: ?l’aiuto materiale e psicologico, espressione di una disponibilità empatica al sostegno e inteso a favorire un approccio sereno alla gestazione, dovrà operare a beneficio di ogni donna che si trovi a vivere una gravidanza, e non essere limitato alle sole situazioni, o all’ambito temporale, in cui la donna già si sia posta in una prospettiva di prosecuzione della medesima. Appare pertanto necessaria una riflessione sull’attività dei consultori, degli operatori sociali, dei servizi ospedalieri ostetrico-ginecologici e, in genere, dei medici che incontrano la donna allorché si rende conto di essere incinta. L’impostazione del colloquio psicologico e del colloquio di aiuto non potrà trascurare di dare rilievo al valore dell’accoglienza (per la donna, per il figlio, per il padre, per la società), manifestando un orientamento positivo verso di essa?. Il colloquio cioè, chiarisce Eusebi, ?non deve ridursi a un dialogo incentrato sul rilascio del certificato di aborto, ma deve essere qualcosa di più ampio. Potremmo distinguere due fasi, che forse sarebbe opportuno sottolineare pensando a due colloqui distinti: uno specifico sulla decisione di abortire, e uno preliminare, di dialogo e di sostegno a tutto campo. In questa fase possono essere coinvolte figure molto diverse, non si pone il problema dell’obiezione di coscienza, e mi sembra plausibile che possano concorrere in questa fase anche figure di volontari?. Il testo dice così: ?L’assunto di principio secondo cui lo stato di gravidanza rappresenta una condizione che esige forme specifiche di aiuto in favore della donna, dato il valore umano della gestazione e l’impegno che esso richiede alla gestante, costituisce un dato universalmente condiviso ed espresso in vari testi normativi, fra i quali la legge n. 194/1978, la cui intitolazione fa innanzitutto riferimento alla tutela sociale della maternità. In particolare, le disposizioni di cui all’art. 5 di tale legge, che s’incentrano sul concetto di aiuto alla donna da offrirsi nel momento in cui accede al colloquio previsto dalla normativa summenzionata, avrebbero dovuto costituire l’aspetto unanimemente condiviso dell’approccio sociale e giuridico al problema dell’aborto, ma la loro attuazione – secondo un giudizio ampiamente condiviso – è rimasta insufficiente. Simili disposizioni, orientate al fine di «rimuovere le cause che porterebbero [la donna] all’interruzione della gravidanza», muovono nel senso di un impegno dei servizi socio-sanitari sia nell’interesse della donna, sia nell’interesse del concepito ed esprimono la non indifferenza, in ogni caso, dell’ordinamento giuridico rispetto alla prospettiva di un’interruzione della gravidanza. [?] L’attuazione delle norme richiamate risponde del resto alla scelta legislativa di richiedere, nel caso in cui s’ipotizzi l’interruzione volontaria di una gravidanza, il confronto della donna con strutture o soggetti indicati dall’ordinamento giuridico: non sarebbe infatti costituzionalmente ammissibile che la problematica concernente l’interruzione della gravidanza venisse affrontata secondo «un regime di totale libera disponibilità da parte della singola gestante» (Corte cost. n. 35/1997). In questo quadro, appare importante una seria progettazione delle modalità con cui venga svolto il colloquio con la donna richiesto dalla legge n. 194/1978, specie per gli aspetti non strettamente medici. In particolare, sarebbe necessario distinguere, nel colloquio, una prima fase intesa all’aiuto sociale e psicologico, non coincidente con quella in cui si rende possibile il rilascio del documento previsto dall’art. 5, ultimo comma, e tale da coinvolgere competenze ulteriori a quella sanitaria (non comportando ancora il rilascio del suddetto documento, la partecipazione a tale fase non pone problemi connessi all’obiezione di coscienza). L’aiuto di carattere sociale dovrebbe, tra l’altro, rendere immediatamente disponibili alla donna tutti i contatti necessari per risolvere problemi materiali (di abitazione, lavoro, ecc.)?.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA