Economia
Perché gridare viva le coop (2)
L'editoriale/ Davvero triste è lo spettacolo che la politica sta dando alla società italiana sulla vicenda Unipol
Un laconico annuncio nel teatrino di Porta a Porta. Così Piero Fassino, per cercare di uscire dalle sabbie mobili di Unipol, si è detto disponibile a rivedere la legislazione che regolamenta le cooperative. Gianfranco Fini, presente alla trasmissione, ha potuto cantare vittoria. Una fine triste, com?è triste la fine di qualsiasi organizzazione che non abbia l?energia morale per difendere un proprio patrimonio ideale. Una fine anche irragionevole, perché come ha puntualizzato polemicamente il presidente di Legacoop, Giuliano Poletti, «questo è il segno, quantomeno, di una insufficiente conoscenza del fatto che le norme che regolamentano le cooperative sono state profondamente modificate dalla riforma del diritto societario entrata in vigore solo un anno fa».
Poletti poi rinfresca la memoria a Fassino e gli ricorda che proprio la nuova legge riconosce «nello scambio mutualistico, nel grado di soddisfacimento dei bisogni dei soci» la sostanza dell?esperienza cooperativa, il che conferisce «una meritevolezza particolare, sotto il profilo sociale, alle imprese cooperative».
Davvero triste è lo spettacolo che la politica sta dando alla società italiana sulla vicenda Unipol: chi attacca lo fa per un proprio plateale interesse e chi subisce non ha la minima intelligenza per difendere un patrimonio da cui pur dipende la propria ragione di esistere.
La realtà è quella che tanti osservatori neutrali hanno riconosciuto: la cooperazione rappresenta una straordinaria ricchezza del sistema Italia. Ricchezza sociale ma anche economica. Nell?ultimo quinquennio il sistema cooperativo ha creato 500mila nuovi posti di lavoro, costituendo uno dei pochi fattori di crescita occupazionale (anche Berlusconi dovrebbe essergli grato?). Sempre nello stesso periodo il suo giro d?affari globale è cresciuto del 6%, toccando una cifra valutata in 120 miliardi di euro l?anno (che è quasi l?8% del Pil italiano).
Ma, quel che più conta, la cooperazione è stata uno straordinario fattore di socialità in un momento di grande scollamento, di crisi delle appartenenze storiche, di disgregazione e di competizione a tutti i livelli. E anche questo è un fattore indiretto di ricchezza.
Perciò il problema è esattamente opposto a quello che viene irresponsabilmente sventolato dalla politica, con Berlusconi in testa, che vorrebbero regole punitive.
Per il bene del Paese bisogna fare il contrario: investire nel modello cooperativo, proprio come scrive su queste pagine Carlo Borgomeo: «Non penso che la lezione sia per le cooperative di ?ritornare al loro posto?. Tutt?altro. Anche sulle questioni finanziarie penso che il sistema cooperativo debba aumentare il suo peso». Deve rivalutare «il rapporto con il territorio come frontiera non romantica, ma vincente anche nel campo del credito e della finanza».
Se vogliamo un alternativa a un mondo economico formato Goldman & Sachs, senza inseguire modelli astratti, forse vale la pena di lavorare utilizzando al massimo uno strumento che, basandosi in modo sostanziale sulla persona, può fornire una risposta alla questione dello sviluppo. Perché il modello cooperativo e dell?impresa sociale può davvero coniugare le logiche dello sviluppo con quelle della comunità.
Il nostro futuro non si gioca forse intorno a questa scommessa?
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