Non profit

Non solo… Capelli

Testimonial. Niccolò Fabi chiamato dalla Turco per una campagna contro lo “sballo”

di Alba Arcuri

Che cosa ci fa Niccolò Fabi, il cantante romano autore dell?ormai celebre ?Capelli?, accanto alla ministra Livia Turco e al professor Luigi Cancrini nella discoteca più famosa della capitale, a mezzogiorno del 7 luglio? Non era lì per un improbabile rave party tra intellettuali – il Gilda non è certo un posto per ?ravers?-, ma per la presentazione della campagna di informazione sulle nuove droghe diffuse tra i giovani di oggi, organizzata dal ministero della Solidarietà sociale e dal Sindacato imprenditori locali da ballo. Niccolò è stato scelto come testimonial dell?iniziativa, con il compito di convincere i giovani che della droga si può fare a meno. Ma perché proprio lui? Forse per catalizzare l?attenzione delle adolescenti che ne vanno pazze, o forse per i suoi occhi chiari e limpidi da ragazzo per bene, mascherato dietro i riccioli pettinati alla rasta che gli danno un?aria ribelle e ?alternativa?. «O magari» – come ha ipotizzato lui stesso – «perché mi hanno visto come uno impegnato nel sociale, in quanto gioco con la Nazionale cantanti». «La discoteca? Meglio una grigliata» Certo è che questo cantautore ventinovenne, con tanto di laurea in Filologia, pariolino di nascita, ma con un passato di ?compagno? attivista nei centri sociali, non è sicuramente un animale da discoteca. «Molto meglio una grigliata con gli amici o una serata al pub, dove si può chiacchierare», spiega. Ma dietro non c?è nessuna intenzione di fare la paternale al popolo della notte, abituato a fare mattina a ritmo di techno e di ?paste? (così si chiamano in gergo le pasticche di ecstasy). «Si va in discoteca per sballarsi», dice senza remore. «Se cominciamo a mettere musica soft e a far circolare solo succhi di frutta non ci andrà più nessuno, perché il bello sta proprio nel ?rincoglionimento?. E i ragazzi andranno a ?farsi? da qualche altra parte. Sempre in cerca di emozioni da sabato sera, dopo una settimana piatta e insoddisfacente. L?unica speranza è che finalmente passi di moda: non è escluso che un giorno si torni a ballare il valzer o il tango, per esmpio». Poi, in un momento di sincerità, confessa di essersi anche lui abbandonato qualche volta al desiderio di oblio, magari davanti al fumo o a un bel boccale di birra. «Un po? di trasgressione non guasta», dice. «A patto, però, che si tenga presente il senso del limite. E non solo in discoteca…». Un giudizio realista e anche poco moralista, che spinge a chiedergli se per caso non sia un po? troppo da intellettuale, di quelli che guardano le cose con un certo distacco. «Intellettuale io? Soltanto perché sono laureato e uso i congiuntivi nelle mie canzoni? Davanti alla gente dello spettacolo (che, detto tra noi, l?italiano lo conosce poco) faccio la parte dell?impegnato, ma rispetto ai miei compagni di università – quelli si che sono intellettuali davvero – ero il primo giullare e buffone della compagnia». Duro e disincantato con i colleghi artisti, soprattutto quelli che ostentano un forte impegno sociale: «D?accordo con le raccolte di fondi in tv, ma l?eccessivo presenzialismo televisivo di alcuni personaggi, nelle trasmissioni di beneficenza, ha un sapore totalmente ruffiano» La politica e la sinistra che delude E la politica? «Sono una delle tante persone che si sono sentite di sinistra per motivi extrapolitici. Perché si poteva andare a casa dei coetanei che avevano i genitori di sinistra, anche vestiti da straccioni, liberi di dire che ci piaceva fare teatro, ed essere guardati con un sorriso e non come se fossimo dei folli. Gli adulti di sinistra erano decisamente più tolleranti rispetto a quelli di destra». E adesso? «Sono di sinistra, così come sono della Roma e non tiferei mai per la Lazio. Ma non per una reale fiducia nella politica». Deluso forse per motivi culturali, o forse perché, una volta arrivata al governo, la sinistra ha perso il suo fascino di partito di lotta. «Il fatto che stia al governo non aiuta. Ma i motivi della mia critica sono sorti già da qualche tempo. Nella sinistra non c?è più quella libertà di espressione in cui mi riconoscevo». Compagno per ?affinità elettive?, dunque, ma come la mettiamo col fatto che Niccolò è vissuto tutti questi anni nella zona più ricca e prestigiosa di Roma, i Parioli? «E chi ha mai avuto la pretesa di fare il proletario?», replica. «Nel mio quartiere ero il ?peloso? della zona. Ma quando andavo nei centri sociali mi consideravano il pariolino, il figlio di papà. Uno dei tanti paradossi, come quella storia dell?intellettuale». Renzo Arbore? Chi l?ha visto Si infuria però se gli ricordano che è il nipote di Renzo Arbore, quasi a sottolineare che il successo ottenuto a Sanremo è opera dell?illustre zio. «Sono un raccomandato per eccellenza, certamente. Fin dagli anni del servizio militare, arrivando alla carriera artistica, devo ammettere di avere sempre avuto la raccomandazione. Ma solo quella di mio padre, che è un bravissimo musicista e produttore musicale (per la cronaca è Claudio Fabi – ndr). E non certo quella di zio Renzo, che avrò incontrato sei o sette volte al massimo in tutta la mia vita». Rimane solo un ultimo nodo da sciogliere, il rapporto con il mondo del sociale: «Lo ammetto. A parte l?impegno nella Nazionale Cantanti non ho mai fatto il volontario». Nessun problema Niccolò, ci sei simpatico così come sei.


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