Famiglia

Le parole che cambiano/ Bambino

Un concetto che cambia, perché più che essere reale è una rappresentazione degli adulti. E siccome noi siamo pieni di paura, puntiamo sul lenimento. Mentre serve più sobrietà.

di Sara De Carli

bambino, s.m. 1. L?individuo umano dalla nascita alla fanciullezza. 2. Estens. figlio. 3. Gesù Bambino, per antonomasia e anche la sua immagine. 4. Fig. Ingenuo, immaturo, in via di formazione. (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Detto a Natale, fa subito pensare all?austerità. Ma non è questo che intende Onelli. Intende più misura nelle relazioni con i bambini e nel nostro modo di rappresentarci l?infanzia. Per esempio sfrangiando tutto il ?magico? che le appiccichiamo addosso e rifocalizzando sull?educazione, che non è addestramento: «Natale è un evento che accade ogni giorno», dice. «Nel Natale però non c?è solo il miracolo della nascita di un bimbo, ma anche una sfida per tutti: perché a tutti compete che quel bambino cresca e stia bene». Vita: I bambini oggi sono protagonisti di moltissimi scenari sociali, di tutto il bene e di tutto il male, e anche del mercato. Ma chi è il bambino come soggetto sociale? Paolo Onelli: Il problema è che il concetto di infanzia è più una rappresentazione degli adulti che qualcosa di reale. L?idea di bambino si riempie inevitabilmente di contenuti che sono degli adulti. Noi oggi assistiamo alla rarefazione reale dei bambini e probabilmente anche alla rarefazione dei contenuti ideali dell?infanzia. L?infanzia è un?età di incompiutezza, non perché i bambini non siano perfetti in sé, ma perché sono bisognosi, hanno davanti un tratto di strada da fare e vogliono farlo? Ormai sappiamo bene quali sono le esigenze degli individui che crescono, conosciamo le tappe dello sviluppo, l?importanza delle fasi di attaccamento e di separazione, però non sappiamo accettare le esigenze della crescita. Vita: C?è una proiezione tipica della nostra epoca? Onelli: Mettiamo troppa magia in tutto ciò che riguarda l?infanzia, ma la crescita non avviene magicamente. Noi non siamo più in grado di pensare che dobbiamo fermarci, attendere, che c?è bisogno di tempo, e che un bambino ha bisogno della cura dell?educatore, di chi lavora per aiutare una persona a diventare se stessa. Vita: Quali sono le esigenze reali di chi cresce? Onelli: L?attenzione, la regola, l?affetto. Tre parole distinte, che appartengono tutte alla stessa radice, la relazione. L?attenzione non è interventismo, ma stare davanti, qualcuno che vede i cambiamenti, interpreta i bisogni e i gesti. Soprattutto l?attenzione rafforza i tentativi, perché crescere è fare tentativi. Poi la regola, che è importante perché misura lo spazio, il tempo, consente il posizionamento nel mondo e le relazioni, perché senza regole non ci sono relazioni. Non è soltanto il saper dire dei no, quello è consequenziale, perché se c?è una regola c?è anche una sanzione: ma la regola serve per far crescere. E infine l?affetto, che è il colore della nostra vita emotiva: possiamo discutere per anni di ciò che è necessario perché i bambini stiano bene, ma la cosa essenziale è l?affetto, il fatto che le persone si sentano accolte, che infatti è l?unica spiegazione del fatto che si può crescere bene indipendentemente dai contesti, dall?estrazione sociale e culturale o dal reddito dei propri genitori. Vita: Negli ultimi vent?anni il bambino è stato visto come soggetto da difendere e tutelare, magari anche in funzione preventiva. È ancora una prospettiva valida? Onelli: La stagione dei diritti ha portato a fare enormi passi avanti, però c?è anche un eccesso di enfasi: sta più alle nostre spalle che davanti a noi. Perché altrimenti sembra che una volta che ho riconosciuto i diritti del bambino ho compiuto il mio dovere, e che una società che declama i diritti e ne affida la tutela a professionisti ha svolto il suo compito nei confronti dell?infanzia. Non sono d?accordo. Col bambino non puoi avere una relazione solo di aiuto, serve anche quello, ma soprattutto c?è bisogno di una relazione di riconoscimento: e questa implica diritti e doveri. Oggi c?è un?adeguata consapevolezza dei diritti, mentre il tema dei doveri è percepito come una cosa che non riguarda la crescita e i bambini. Vita: Cosa significa scoprire i doveri dei bambini? Onelli: Credo che i bambini abbiano bisogno di una nuova intenzionalità educativa. Nell?educazione la regola consente la crescita e il rispetto del principio di realtà. Traccia le guide che consentono di individuare il percorso non solo attraverso cui si diventa grandi, ma attraverso cui si vive. Bisogna stare attenti a non patologizzare l?infanzia, a non pensare l?intervento educativo solo come terapeutico o addestrativo: è il bambino in quanto tale che ha bisogno di regole e di educazione, perché la regola non ha solo una funzione di limitazione, ma nell?essere una limitazione consente lo sviluppo di altre potenzialità. Questo è il cuore del problema. Poi nel caso dei bambini che hanno già subito i segni duri di lutti o privazioni affettive, la regola è anche un veicolo terapeutico. Ma mettere l?accento sui doveri è complicato, perché c?è bisogno di un?attenzione della società adulta, di un senso della misura, che non abbiamo. Vita: Eppure la scuola torna a puntare sull?educazione? Onelli: Non è solo un discorso di riforme scolastiche, che pure hanno un ruolo essenziale, ma di tutto ciò che si gioca nella relazione fra la società adulta e la società bambina. Una società competitiva è questione di educazione, e l?educazione non è solo un addestramento. Vita: Quali sono allora le priorità educative? Onelli: Bisogna cancellare l?idea che i nostri bambini hanno bisogno soltanto di occasioni ricreative. Per debolezza o per indulgenza abbiamo accettato lo stereotipo per cui i bambini sono soggetti che hanno bisogno di lenimenti. Ma ancora una volta questa è una proiezione nostra, di adulti che vivono una fase di sofferenze, incalzati da mille paure. I bambini non hanno bisogno di lenimenti, ma di relazioni autentiche. E anche di più sobrietà di rapporto con l?infanzia, soprattutto in Italia. C?è bisogno di un?idea più concreta – direi più seria – di quello che il bambino e i suoi bisogni sono. Vita: Sobrietà in che senso? Onelli: Una relazione meno nutritiva e più attenta alle esigenze reali. Meno orientata alla relazione ludica, perché oggi c?è un eccesso anche in questo. «Gioco con mio figlio fino allo sfinimento», si dice. Il bambino non ha nessun bisogno che suo padre giochi con lui fino allo sfinimento, giochi finché ti va, finché ce la fai, finché ti sembra rispettoso per te e per lui: poi gioca da solo. Sobrietà vuol dire recuperare l?idea di misura anche nei bisogni. È come nella nostra vita di adulti, né più ne meno: il problema è che noi per primi facciamo fatica a riconoscere la misura, il tempo da assegnare a ogni cosa. C?è un tempo per? non se lo ricorda nessuno. Non è una sobrietà come austerità, o come far sentire la mancanza di qualcosa perché la mancanza aiuta a capire il valore delle cose, non è questo. È l?idea di misura. Vita: Al di là critiche alle politiche sociali, cos?è che ci spinge a fare meno figli? Onelli: Da noi c?è un eccesso di enfasi sui valori famigliari e sulla costruzione dei percorsi di coppia. Le coppie sono progettate come aziende, perché manca una società amichevole nei confronti della nascita. Noi pensiamo che i bambini siano il risultato di una sistemazione e di una maturazione, mentre i figli accompagnano anche la nostra crescita. Non è detto che per avere dei figli uno debba essere arrivato chissà dove… A parte che non esiste un punto di arrivo nella maturazione delle persone; e comunque inevitabilmente sbagliamo tutti, anche a 40 anni. Detto questo però è bene ricordare che la precarietà lavorativa e le ingiustizie negli accessi ai servizi essenziali mortificano il desiderio di procreazione. Vita: Ha scritto che i bambini stessi indicano il metodo della relazione con loro, che è la bellezza. Cosa significa? Onelli: I bambini per crescere hanno bisogno del contatto con la bellezza, se ne nutrono: sono sensibili a come sono vestiti, attenti al tono della voce… È vero che la vocazione alla bellezza è universale; però per i bambini è vitale, mentre noi adulti tolleriamo la bruttezza fin quasi ad abituarci. E la cosa straordinaria è che anche i bambini meno fortunati cercano la bellezza e la trovano, ovunque essa si trovi. Dobbiamo puntare sulla cura dei luoghi, soprattutto degli spazi comuni, e delle relazioni. Ma anche su una televisione più bella… Vita: Se non ritornerete come bambini… Cioè? Onelli: Onesti, e un po? ingenui. Non ne possiamo più di una società che esalta la furbizia. Non è vero che la disonestà e la furbizia siano la misura unica della competitività di una società. Tanto più nelle relazioni umane, che tengono se sono autentiche, cioè spesso anti opportunistiche. Coltivare l?intelligenza non equivale a coltivare la furbizia. Altrimenti si capisce che non entreremo mai nel luogo più decisivo, quello dell?autenticità. Chi è Paolo Onelli Un papà al ministero Paolo Onelli è nato nel 1963. Sposato con Carmela, è padre di Benedetta, 12 anni, e di Martina, che di anni ne ha 9. Impegnato nel volontariato dal 1984, per sette anni ha vissuto con la moglie in una casa famiglia per minori. Onelli ha raccontato questa esperienza in un piccolo libro, La loro storia è la mia (l?àncora del mediterraneo, 2004), che mette al centro i bambini e le loro storie. Oggi è direttore generale per la Tutela delle condizioni di lavoro al ministero del Lavoro e delle politiche sociali e insegna Sociologia alla Lumsa.


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