Welfare

Valerio Onida: che cosa ci faccio io dietro le sbarre

L’ex presidente della Corte costituzionale è volontario nel carcere di Bollate. Aiuta i detenuti nel rapporto con le autorità di sorveglianza

di Redazione

Volendo mettere un?etichetta, si potrebbe coniare la formula di Vap, ovvero ?volontario ad alta professionalità?. In altri termini vip, ossia ?very important person?, che dopo aver frequentato le più alte sfere delle rispettive carriere, mettono la loro professionalità al servizio delle battaglie civili che gli stanno più a cuore. Come nel caso di Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale, che, lasciata la Consulta a fine gennaio, ha scelto di varcare per mezza giornata ogni settimana la soglia del carcere di Bollate, hinterland milanese, dove insieme ad altri ex colleghi e amici (fra cui Franco Moro Visconti, Franco Cecconi e Maria Luisa Vido Cantoni) si occupa della gestione dello ?sportello giuridico? dell?istituto milanese per conto dell?associazione intitolata a Mario Cuminetti («un grande uomo che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente»). «La mia attività», spiega il professore di Diritto costituzionale all?università di Milano, «si svolge per lo più nei reparti dove incontro i detenuti per aiutarli a gestire i rapporti con il tribunale di sorveglianza, la direzione e gli educatori». Vita: Nel concreto, quale tipo di richieste le vengono rivolte? Valerio Onida: Il grosso del lavoro consiste nella scrittura delle istanze di liberazione anticipata e delle richieste delle misure alternative al carcere. Un lavoro che spetterebbe agli avvocati, che però difficilmente si fanno vedere da queste parti. Mentre, infatti, durante il procedimento a tutti è assicurata la difesa, non altrettanto avviene nel corso dell?esecuzione penale: i detenuti sono sostanzialmente lasciati in balìa degli eventi e quasi del tutto ignari della loro situazione giuridica. Uno dei nostri compiti consiste proprio nel prendere i contatti con il difensore. Aggiungiamoci poi il grosso ostacolo della lingua, ormai sono tantissimi quelli che parlano solo l?arabo, e risulta chiaro quanto siano distanti la realtà e il tessuto normativo. Qui più che in ogni altro contesto. Per i detenuti il diritto è davvero un mondo esoterico. Vita: Che cosa pensano i suoi colleghi di questa sua esperienza? Onida: Intorno a me riscontro molto interesse. Nessuno mi ha mai detto «chi te lo ha fatto fare». Anzi, alcuni di loro hanno deciso di seguirmi in questa avventura. Non nascondo che spesso mi è capitato anche di fare pubblicità al volontariato anche con i giovani avvocati e i praticanti. Vita: Quanto è importante che i volontari abbiano una professionalità elevata? Onida: Almeno in questo ambito sono indispensabili i contributi ad alta professionalità. Dirò di più. Mi auguro che anche in Italia si segua la scia degli Stati Uniti dove, e non vale solo nel campo del legale, i più importanti studi professionistici mettono gratuitamente a disposizione della difesa dei diritti civili una quota delle loro attività. Mi sembra un passaggio culturale storico, tanto più per chi fa l?avvocato e per mestiere dovrebbe difendere i diritti. Vita: In questi mesi lei ha mai avuto l?impressione di contribuire a migliorare nella sostanza la vita del carcere? Onida: Sarebbe davvero troppo. Diciamo che do il mio piccolo contributo, metto il mio mattoncino. Vita: Ha svolto un tirocinio prima di entrare a Bollate? Onida: No, ho fatto apprendistato direttamente sul campo. Ritengo che per un giurista sia fondamentale conoscere questa realtà. Lo ripeto. È sorprendente quanto il disagio dei detenuti sia legato alla loro inconsapevolezza. Questa è una riflessione che chi scrive le norme dovrebbe fare sua. Vita: Lei ha quasi 70 anni: rimpiange di aver vestito i panni del volontario solo adesso? Onida: Nessun rimpianto, nella vita ognuno ha il suo percorso, io ci sono arrivato adesso e ne sono contento. Vita: Quanto continuerà? Onida: Sicuramente questa non è un?attività di cui ci si stufa, al contrario è un aggiornamento continuo.


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