Politica

Voglia di communità, un bene di famigli

Modello del welfare toscano: un volontariato “longa manus” del pubblico con una presenza capillare sul territorio

di Sara De Carli

A metà del XX secolo, quando il Sistema sanitario nazionale decise di finanziare i servizi garantiti dalle Misericordie, in Toscana – dove le Misericordie sono nate, nel 1244 – molti fratelli lasciarono: per loro era un tradimento del volontariato. Oggi la situazione è diversa: i bilanci delle organizzazioni di volontariato toscane dicono che i soldi che arrivano dal pubblico sono quasi il 50% delle entrate totale. Misericordie incluse, anche se «la percentuale varia tra il 10 e il 50, nelle città o nei piccoli comuni, dove le convenzioni sono meno. È una necessità, le Misericordie qui gestiscono totalmente il 118», dice Gianfranco Gabelli, fiorentino, presidente della Confederazione internazionale delle Misericordie. Tutto vero. Ed è il modello Toscana. La regione dei borghi, dove ogni frazione (non solo ogni comune) ha almeno una Casa del popolo e una pubblica assistenza, un circolo parrocchiale e uno dell?Arci (anch?essa nata a Firenze, nel 1956). Dove il campanile e la bandiera rossa non sono più antagonisti, come spiega Alessandro Celoni, responsabile area Centro Italia di Banca Etica, che in Toscana ha 1.609 soci e che al 30 novembre aveva accordato fidi per 30 milioni di euro: «A Pisa abbiamo un progetto di microcredito abitativo gestito da Asl 5, Caritas, Arci, Legacoop e Confcooperative. Ci abbiamo messo un po? a strutturarlo, ma dopo un anno il bilancio è estremamente positivo». E poi c?è una Regione che brilla per attenzione alle tematiche sociali, l?unica che al G8 di Genova ci è andata con il gonfalone, l?unica che ha un assessorato alla Pace e alla Cooperazione. «Il fatto è che la Regione produce documenti di altissimo livello, ma nella loro applicazione è meno eccellente», lamenta Ugo Buggeri di Sieci (FI), responsabile della Fondazione culturale Responsabilità etica di Banca Etica. «C?è un buon dialogo tra Regione e terzo settore, ma quando si tratta di cambiare le politiche… C?è la Rete Nuovo Municipio, una associazione di Comuni che mette la partecipazione al centro, ma quando si deve fare un inceneritore non è che si mettano in atto meccanismi partecipativi; facciamo San Rossore, ma usano il primato di Larderello per evitare scelte energetiche più impegnative ». Ma torniamo ai bilanci. Per Luca Bagnoli, docente di Cooperazione e non profit all?università di Firenze, «il volontariato in Toscana è la lunga mano del pubblico nel settore socio-sanitario. Il volontariato è impresa sociale », dice. Tant?è che le organizzazioni di volontariato fatturano molto più delle cooperative sociali: nel 2004, eravamo a 25 milioni di euro contro 18. E di quei 25, 19 vengono dal pubblico. «Il welfare toscano è un sistema fortemente integrato: la presenza capillare delle associazioni sul territorio consente di portare all?ente pubblico i bisogni della gente, e il pubblico vi risponde attraverso il terzo settore strutturato. È un sistema efficace, ma molto costoso». In realtà l?integrazione c?è anche tra volontariato e impresa sociale: non sono pochi quelli che Bagnoli chiama «gruppi non profit informali». Le Misericordie di Siena, per fare un esempio, hanno società di capitale e cooperative al proprio interno, mentre altre hanno preferito appoggiarsi a cooperative già esistenti, entrando nel loro cda per continuare a seguire i servizi: «Così si ottimizzano i vantaggi delle diverse strutture giuridiche», spiega Bagnoli. Altro che bischeri.


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