Cultura

La Turchia nella UE l’identità è un falso problema

I pro e i contri all'ingresso di Ankara: chi pensa che sia difficile inglobare un Paese musulmano, non guarda in faccia la realtà, di Carlo Altomonte

di Redazione

Il controverso rapporto tra l?Unione europea e la Turchia, Stato candidato ad aderirvi, è al centro delle questioni di politica internazionale. La Commissione europea lo scorso 29 novembre ha eluso un grave incidente diplomatico, evitando di proporre, almeno per il momento, la sospensione totale del negoziato per l?adesione. Oggetto del contendere è la mancata implementazione da parte turca del cosiddetto protocollo di Ankara, un documento con cui la Turchia si impegna a eliminare le restrizioni alla libera circolazione di beni che ancora mantiene nei confronti della Repubblica di Cipro, Stato membro dell?Unione. Constatata la mancata applicazione di tale protocollo, la Commissione ha raccomandato il blocco dei negoziati per l?adesione fino al permanere delle restrizioni, ma solo relativamente ai capitoli riguardanti i settori interessati. Inoltre, mentre sarà possibile aprire i negoziati su altri capitoli e continuare quelli in corso, la Commissione ha raccomandato di non chiudere formalmente il negoziato su nessun capitolo. Sarà compito del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre formalizzare o meno tale raccomandazione. Reazioni ?interessate? La notizia ha ridato fiato agli oppositori dell?adesione della Turchia, che hanno interpretato l??incidente? come l?ennesima conferma della ?diversità? del Paese rispetto alle tradizioni europee. Contemporaneamente, in una Turchia che si appresta a rinnovare il proprio parlamento, la stessa notizia è stata usata strumentalmente dalle forze politiche che cavalcano in chiave demagogica il nazionalismo turco per ribadire che nessuno può imporre condizioni al Paese. Ma porre la questione in questi termini è poco corretto, perché il vero problema europeo (e turco) non è quello di decidere quando e a che condizioni la Turchia sia pronta a entrare nell?Unione europea, ma piuttosto è quello di valutare se l?Europa di oggi, con i suoi compromessi al ribasso, è pronta ad accogliere la Turchia. L?esempio della politica regionale basta a capire che non è così. L?identità non c?entra Qualche settimana fa, dopo un lungo e faticoso negoziato, sono stati ufficialmente stanziati i fondi di cui ogni Paese europeo (inclusi Bulgaria e Romania) beneficerà per il periodo 2007-2013. Si tratta di un totale di 308 miliardi di euro, di cui circa 250 miliardi saranno destinati alla convergenza di Paesi/regioni in ritardo di sviluppo. La Commissione europea ci informa che quest?ultima cifra interesserà circa il 35% della popolazione europea, cioè 173 milioni di cittadini. Ne consegue che ogni cittadino europeo che vive in una regione in ritardo di sviluppo beneficerà, per i prossimi sette anni, di circa 1.450 euro (a prezzi del 2004). La popolazione turca al 2006 è di 70,4 milioni di persone, che con gli attuali tassi di crescita demografica diventeranno circa 75 milioni nel 2014. Poiché la Turchia ha oggi un livello di Pil pro capite pari a circa un terzo di quello europeo, per i prossimi decenni sarà ufficialmente classificata in ritardo di sviluppo (Pil pro capite inferiore al 75% della media comunitaria). Ciò implica che, se il Paese dovesse aderire all?Unione nel 2014, occorrerebbe stanziare, a parità di trattamento, circa 108 miliardi di euro per la politica regionale turca. Si tratterebbe di una cifra di gran lunga superiore a quella mai stanziata per un singolo Stato membro e che, se aggiunta all?attuale dimensione delle risorse finanziarie europee, porterebbe da sola a superare abbondantemente il tetto storicamente imposto alle stesse (intorno all?1% del Pil dell?Unione europea, e senza considerare i maggiori aggravi di spesa che si avrebbero per finanziarie le altre politiche di una Unione di 28 Stati e 570 milioni di cittadini). In alternativa, si potrebbe pensare che il gruppo dei 15 rinunci integralmente ai propri fondi per la politica regionale (si risparmierebbero circa 98 miliardi di euro), ma continui a contribuire in eguale misura al bilancio comunitario per finanziare lo sviluppo regionale nei nuovi Stati membri dell?Est (nessuno di questi dovrebbe riuscire a superare la soglia del 75% nel 2014) e in Turchia, cosa che sembra improbabile alla luce dell?esito dell?ultimo negoziato sulle prospettive finanziarie. Né sembra molto corretto utilizzare la Turchia strumentalmente, al fine di ridefinire il problema dell?identità europea in chiave cristiana, come qualche politico europeo tenta di fare. Da un punto di vista generale, escludere un Paese sulla base di convinzioni religiose contrasta con l?essenza stessa del processo di integrazione europea, che definisce la sua identità nel rispetto dei valori della democrazia, della libertà individuale (dunque anche religiosa) e della tolleranza. Se invece il problema è quello della difficoltà nella convivenza tra due gruppi di diversa fede religiosa, non è la Turchia il vero oggetto del contendere: a parità di dinamiche demografiche e migratorie, l?Europa ospiterà nei prossimi anni circa 40 milioni di cittadini musulmani (concentrati nelle grandi città, e in maggioranza giovani). Se in Europa esiste un problema di convivenza con il mondo islamico, dovrà essere affrontato comunque, a prescindere dall?adesione turca. www.lavoce.info

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