Cultura

Incontro di civiltà

Perché il viaggio in Turchia di Benedetto XVI è destinato a chiudere un’epoca? Il resoconto del vaticanista del Tg2 spiega molte cose

di Lucio Brunelli

Alla fine Benedetto XVI e le autorità turche hanno parlato anche di Ratisbona. Ma solo per scherzare sul fatto che anche la città bavarese, dove Ratzinger fu professore, s?era candidata al titolo di capitale europea della cultura. Riconoscimento che, invece, per il 2010, è andato proprio a Istanbul?«Meritato realmente», ha commentato con sportività il papa tedesco…

Scherzare su Ratisbona, nella terra della Mezza Luna. Senza evocare il fantasma dell?ex imperatore di Bisanzio Manuele II Paleologo, e i suoi ruvidi apprezzamenti sul profeta Maometto. Miracolo sul Bosforo. Frutto di un viaggio che molti osservatori ritenevano un azzardo, e non solo per ragioni di sicurezza. Sembrano passati anni luce da quando, in primo piano, su giornali e tv, c?erano solo i timori di imbarazzanti manifestazioni di massa contro il Papa e l?ostinazione vaticana in una missione impossibile. Miracolo sul Bosforo, già.

Umiltà ed essenzialità cristiana sono stati i veri segni distintivi della visita. Il segreto del suo successo. Sul piano umano, religioso e politico.

Una visita in cui ha avuto il suo posto, certo, anche la diplomazia. Un?arte nobile, quando è usata per un fine nobile. Le interviste del Segretario di Stato Bertone e del ministro degli Esteri Mamberti, con le serene ed equilibrate aperture sull?ingresso della Turchia in Europa hanno avuto il loro peso. Benedetto XVI, dal canto suo, si è mosso fin dai primi minuti della visita con grande saggezza. Due erano gli obiettivi principali: rilanciare il dialogo con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ed abbattere, nei limiti del possibile, il nuovo muro di ostilità e pregiudizi con l?Islam. In volo verso Ankara il Papa era stato realista: «Non si può ottenere tutto in quattro giorni», aveva detto ai giornalisti. Vero. Ma forse, a missione compiuta, si può affermare che ha ottenuto più di quanto egli stesso sperasse. A rendere ardua l?impresa c?era Ratisbona (le prime proteste islamiche erano partite proprio da Ankara) con l?aggiunta di un?ulteriore diffidenza in loco, dovuta all?opinione espressa dal cardinale Ratzinger prima di diventare Papa sull?inopportunità dell?ingresso della Turchia nella Ue.

L?umiltà di Benedetto XVI è stata commovente. Ha accettato di buon grado di recarsi lui, di persona, nell?ufficio statale del presidente del Dipartimento degli affari religiosi. Contro ogni consuetudine diplomatica che richiedeva al ?minore in grado? di spostarsi nella sede del ?maggiore in grado?, in questo caso nella nunziatura vaticana ad Ankara. Senza rinunciare alla rivendicazione del sacrosanto diritto alla libertà di religione per le minoranze cristiane, il Papa ha posto l?accento su «l?unico Dio che confessiamo e veneriamo». Con lo stesso spirito ha accettato l?invito a visitare la Moschea del Sultano Ahmet, nota come la Moschea blu, la più imponente e suggestiva di Istanbul. E non ha avuto alcun imbarazzo a raccogliersi in intima preghiera, fianco a fianco con il Mufti, le mani incrociate sulla braccia secondo la postura musulmana, entrambi rivolti verso Oriente.

Diranno i ?cristianisti? che si è trattato di un conto salatissimo da pagare sull?altare dell?ecumenismo e del dialogo interreligioso. Ma mai, nei quattro giorni in Turchia, si è avuta l?impressione di una fiction politica. Di penosi compromessi mascherati da gesti di dialogo ed esibiti davanti alle telecamere di tutto il mondo per vile paura del ?nemico? islamico. Mai come in questa circostanza si è potuta vedere e capire meglio la differenza fra i ?cristianisti?, legati a una forma culturale, ad un?ideologia cattolico-occidentalista, e i cristiani i quali hanno a cuore solo Gesù Cristo. Che non è un?idea da brandire contro qualcuno ma un incontro, un?apertura infinita, un?amicizia disarmata che disarma ogni pregiudizio.

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