Non profit

Se l’aiuto finisce dove non ce n’è bisogno

Un rapporto di ActionAid denuncia una cattiva abitudine dei paesi donatori

di Redazione

Che le risorse destinate dai paesi più ricchi a quelli in via di sviluppo siano insufficienti è un fatto acclarato e abbastanza noto. Meno noto, invece, è che anche gli aiuti rischiano di essere del tutto inutili poiché somministrati senza coordinamento o secondo logiche che poco hanno a che vedere con i reali bisogni dei paesi destinatari. Sugli effetti di politiche miopi o non disinteressate in un grande paese africano, il Kenya, è incentrato Chi fa da sé non fa per tre, un rapporto appena divulgato da ActionAid International e Amref Italia. Alla base del testo c?è una ricerca condotta da tre studiosi kenyani sul coordinamento e l?armonizzazione delle risorse donate per la lotta all?Hiv e Aids. In Kenya – dove tra il 1984 e il 2003 la malattia ha causato 1,6 milioni di morti e 800mila orfani – la lotta alla pandemia dipende dalla bontà dei paesi stranieri: oltre due terzi del budget per affrontarla sono sostenuti da 24 differenti donatori. Per armonizzare questi contributi, il governo di Nairobi ha approntato un piano quinquennale (2005-2010) che definisce le esigenze e le priorità nazionali sul problema. Così facendo il Kenya si è mosso in rispetto della strategia ?Three Ones? elaborata dall?agenzia dell?Onu per la lotta all?Aids, l?Unaids, che prevede, a livello nazionale, un unico piano d?azione, un unico coordinamento, un unico sistema di monitoraggio e valutazione. Una strategia che, denuncia il rapporto, i donatori fanno però fatica ad accettare. «Ogni finanziatore pretende di agire per conto proprio e così non sempre i contributi vanno a sostenere attività prioritarie», sostiene Urbanus Kioko, coordinatore della ricerca. «Le risorse allocate spesso non rispondono all?esigenza di equilibrio tra le attività di prevenzione e cura e alle volte non arrivano nelle regioni dove l?emergenza è più alta: la Banca mondiale, ad esempio, destina più aiuti alla provincia Nord-Orientale (dove la prevalenza della malattia è quasi nulla) che alla provincia costiera dove invece il tasso raggiunge il 5,8%». L?Italia, che in Kenya riversa una cospicua quota di aiuti, sembra invece rispettare il criterio geografico e sta inoltre tentando di approntare un sistema di monitoraggio e valutazione che, tuttavia – in contrasto con lo spirito dei ?Three Ones? – per il momento rimane parallelo a quello kenyota e quindi potenzialmente inutile. Per il resto l?intervento del nostro paese replica i difetti di molti donatori, soprattutto nella mancanza di trasparenza. Secondo quanto evidenziato dal Rapporto, le risorse provenienti da Roma sostengono soprattutto gli sforzi di prevenzione compiuti da una decina di ong, ma non è noto in che modo verranno impiegate per tipo d?intervento prioritario o gruppo sociale vulnerabile. Questo approccio va cambiato con urgenza, sia per fornire alla popolazione del Kenya un aiuto davvero efficace, sia per garantire ai donatori che i soldi da loro forniti non verranno mal impiegati. In considerazione della grande dipendenza della lotta all?Aids dai finanziamenti esteri, far perdere la fiducia ai finanziatori sarebbe un fatto gravissimo. di Paola Giuliani, responsabile programmi e campagne di ActionAid International

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