Cultura

Le parole che cambiano/ Vino

Chi sospettava che questa fosse una parola chiave per capire la nostra epoca? Per Gianni Emilio Simonetti, lo è. Perché da simbolo del rapporto tra l’uomo e la terra è diventato simbolo di edonismo.

di Sara De Carli

Vino s.m. 1. Bevanda alcolica ottenuta dal mosto d?uva fatto fermentare. 2. Estens. Bevanda alcolica ottenuta per fermentazione della frutta o di altri prodotti vegetali. Dal latino vinum. (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Il vino, sempre più griffato, «concorre a forgiare disparità sociali a livello degli stili di vita». Simonetti, filosofo e docente al Politecnico di Milano, protagonista di Critical Wine, è convinto che il vino in quanto moda provochi inclusioni ed esclusioni, complicità solidali e segmentazioni distintive. Tant?è che è il prestigio del bevitore che fa la qualità del prodotto. Interpretazione controcorrente di una parola e di un atto, quello del bere, sino a ieri molto condivisi. Rivoluzione partita dal vocabolario dei degustatori. Vita: Qual è la simbologia in origine collegata al vino? Gianni Emilio Simonetti: Un simbolismo alimentare penetrato da immagini cosmiche e cicliche di origine agraria. Il vino, fermentando, fiorisce come la vite e il vignaiolo è il suo guardiano: fa la guardia al segreto della bevanda, che è acqua di giovinezza. Nella tradizione semitica la madre era il ?ceppo di vite? e la dea Sidhuri, la ?donna del vino?, abita al centro dell?ombelico del mare, come scrive Mircea Eliade nel suo Traité d?histoire des religions. Il vino è sempre stato simbolo della vita nascosta e della giovinezza trionfante, sangue divino. Vita: È ancora così? Simonetti: Nell?ultimo rapporto sulla salute nel mondo, l?Oms sostiene che l?alcool provoca direttamente o indirettamente il 10% di tutte le malattie, il 10% dei tumori, il 60% delle cirrosi epatiche, circa l?8% delle malattie croniche, ma anche il 40% degli omicidi e più del 40% degli incidenti. È la causa di morte di un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni e i problemi che provoca costano circa il 3% del Pil. Direi quindi che l?alcool è un veleno e che non esiste una dose minima compatibile con il benessere psicofisico dell?individuo. Ma questa non è una novità. Vita: Come è possibile allora che a livello simbolico il vino sia percepito in tutt?altro modo? Simonetti: È lo spettacolo mediatico che afferma il contrario. È un meccanismo di difesa, quello per cui Freud coniò l?espressione di Verneinung, denegazione, un effetto dell?isteria. Il vino è diventato il luogo simbolico in cui viene a cadere ciò che il soggetto teme di più, il carattere immanente della vita quotidiana, di cui non ha coscienza. Oggi il processo di simbolizzazione degli alcolici – e del vino in particolare – deve essere sorretto dall?immaginario scientifico, chiamato ?analisi sensoriale?. Davanti al rischio indecente dell?ubriachezza, l?arte del bere si impone come volontà d?ordine ed esperienza estetica. Ascoltate gli esperti: il buon vino è strutturato, equilibrato, armonioso; il cattivo è senza equilibrio, con difformità e irregolarità. Il vino ha una moralità, è sincero, generoso, amabile. Combinando le rappresentazioni simboliche, il piacere psico-sensoriale della bevanda e l?attività pseudo-educativa degli esperti si costruisce un ethos, un costume di strutturazione della personalità, la cui funzione ultima è il passare dalla presentazione della bevanda alla rappresentazione del bevitore. L?obiettivo è presentare un consumatore ideale che recita sul palcoscenico sociale le variazioni allucinate dell?immaginario e dell?ebbrezza. In altri termini il vino, nella modernità, ha una funzione e un uso sociale, provoca nel tessuto collettivo inclusioni ed esclusioni, complicità solidali e segmentazioni distintive. Il vino concorre a forgiare disparità sociali a livello degli stili di vita, così come percorsi diversi della sociabilità. Vita: Qual è la traiettoria socio-culturale del vino? Simonetti: Inizia con la dimensione mistica, che associa il vino ai riti religiosi, pagani e cristiani. Poi il vino si trasforma in una bevanda che commemora. Solo nell?ultimo mezzo secolo diviene una cultura e un prodotto egemone della società dei consumi. Esso serve a tracciare l?ineguaglianza di classe e le diverse forme della distinzione sociale. Per gli aristocratici e i grandi borghesi, bere era un?arte per affermare il loro savoir-vivre; oggi, nella società dello spettacolo, abbiamo un?inversione del principio d?incorporazione, perché è il prestigio del bevitore che fa la reputazione del vino. Ai poveri provvede l?esperto, il più delle volte dalla tv. Baudelaire diceva che quelli che non bevono mai vino sono degli imbecilli o degli ipocriti. Non conosceva gli esperti, coloro che vogliono educare la soggettività capricciosa al buon gusto della Doxa, trasformare il mangiare e il bere nell?arte di gustare. Ma gestire il gusto significa banalizzarlo. Vita: Quando si è persa la percezione quotidiana del vino come abbondanza, che unisce l?uomo alla terra? Simonetti: A metà Ottocento il consumo di vino nelle grandi città europee era intorno ai 50 litri pro-capite. Alla vigilia della prima guerra mondiale il suo consumo era salito del 160%, legando in un unicum il vino come alimento e l?apparizione del proletariato urbano. Oggi questa divisione tra vin agrément e vin aliment è superata, perché da un lato il consumo di vino è precipitato del 50%, ma dall?altro si è imposta l?immagine del vino come piacere. In Francia dei 28 milioni di ettolitri prodotti nel 2000, la produzione del vino ?griffato? è stata del 20% superiore a quella del vino da tavola. Il vino fonte di calorie è tramontato e ha lasciato il passo a nuove mitologie, nelle quali sono rilevanti il ruolo femminile e la possibilità di accedere a una distinzione sociale presa a prestito dalle categorie sociali più prestigiose. Vita: Le donne cioè sono oggi consumatrici importanti? Simonetti: Non solo. Il discorso è più significativo a livello simbolico. Un tempo l?asimmetria del consumo tra maschi e femmine era la conseguenza di tre pregiudizi: il vino bevanda viva, il vino droga, che allenta i vincoli morali e sopprime l?autocensura della domesticazione sociale e il vino assimilato al sangue divino, lontano dalla perfidia del sangue mestruale. È su questo pregiudizio che lo spettacolo moderno ha fatto opera di mediazione a favore del consumo ostensivo del vino, fino a femminilizzarlo e a occultarne la fermentazione, che rappresenta il suo lato vivente, incontrollabile e affascinante. Oggi il vino si beve primeur, nouveau, giovane. La strega è diventata fata, e per lei si sono modificate molte caratteristiche classiche del vino, addirittura a progettare un nuovo vocabolario descrittivo. Il vocabolario dei degustatori insiste molto sull?aspetto fruttato di questa bevanda, che in realtà non ha niente a che fare con i succhi di frutta. Siamo al paradosso che non è più l?uva il frutto caratterizzante, ma il lampone, il cassis, la mora, la fragola, le mele; per non parlare dei fiori. Vita: Questo cambiamento ha anche riflessi simbolici? Simonetti: Certo, perché questi riferimenti hanno un solo obiettivo: forcludere lo spettro dell?alcolismo. S?insiste molto sulla leggerezza e l?emozione gustativa, piuttosto che sui risultati dell?invecchiamento del vino, con la conseguenza di legittimare – anche nel bere – il piacere immediato e superficiale. Tutto questo s?intreccia al mito del cibo leggero e all?edonismo di un corpo preda del narcisismo, che non deve essere disturbato dall?alcolemia. Chi è il garante di questa trasformazione? Gli acrostici della qualità (Doc, Docg ecc.) che segnano il passaggio dal vino da tavola al vino millesimato, senza dimenticare, per i bio-salutisti, la moda del vins de pays. Vita: Dove ci porta questo trend? Simonetti: Al vino come bene economico, che è in crisi per la filiera produttiva, ma che sul mercato è divenuto prodotto di speculazione. In pratica il suo valore d?uso è stato trasformato in valore di scambio: il vino è una merce con ampie caratteristiche speculative, genera insoddisfazione, ma è economicamente rilevante proprio per questo. Talleyrand un giorno riprese un ospite dicendogli che non doveva essere precipitoso nel portare il bicchiere alle labbra, che doveva osservarlo con cura. «E dopo? Lo si beve?», chiede. «No», risponde Talleyrand, «lo si mette sul tavolo e se ne parla». Il valore è ciò che rende irriconoscibile il vino al vignaiolo, in quanto ne cancella la natura per avvolgerla nel fantasma della valorizzazione. Così il vino, divenuto un investimento speculativo, dilaga nel mercato come un?ombra senza corpo, trascinandosi dietro i caratteri surreali che evocano una sbornia che rende tristi i bevitori ma fa ballare i tavoli. Vita: E in tutto questo, l?alcolismo? Simonetti: L?alcolismo è lo stesso da un secolo: una piaga sociale con gli stessi attori e motivazioni. Nuovo è l?accanimento con cui i media difendono la bugia che una modica quantità di vino fa bene, anzi, cura un interminabile elenco di disfunzioni. Vien da pensare che il costo sociale dell?alcolismo, a differenza del tabagismo, è inferiore al vantaggio reddituale che consente… Chi è Gianni Emilio Simonetti La gola profonda dell’enogastronomia Gianni Emilio Simonetti è nato a Roma, ma vive sul lago Maggiore. Scrittore e docente di Design degli atti alimentari al Politecnico di Milano, filosofo e artista, già esponente del pensiero ?situazionista? e attivista dell?esperienza artistico-politica di Fluxus, si occupa anche di disagio psichico e di cultura della cucina. Fu tra i fondatori della rivista La golae oggi è uno dei maggiori esperti di cultura gastronomica. Per DeriveApprodi è autore di La funzione sociale dell?arte e la follia, La domesticazione sociale e La vivandiera di Montélimar.


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