«La prima intuizione mi è venuta tre anni fa sull'aereo, di ritorno da Napoli, dove a mia figlia di otto anni era stata appena diagnosticata la retinite pigmentosa, una malattia incurabile che la porterà a diventare cieca». Massimiliano Salfi, 47 anni, è un professore universitario di informatica di Catania e l'idea a cui si riferisce ha preso dal 2012 la forma della piattaforma vEyes che si occupa di sviluppare ausili tecnologici per ipovedenti e non vedenti.
«L'idea – racconta il professore – è quella di costruire supporti indossabili che possano aiutare i disabili visivi nelle azioni della loro vita quotidiana». E per iniziare a realizzare il progetto si è rivolto prima di tutto ai suoi studenti. «Ho cominciato ad assegnare ai laureandi che si presentavano da me– spiega Salfi – tesi che avessero come tema lo sviluppo di hardware e software per aiutare i disabili». Un sistema che ha fatto coagulare intorno al docente un gruppo folto di ricercatori, soprattutto giovani che volontariamente prestano la loro opera per vEyes. Diversi i progetti in elaborazione, come vEyes RNP, portato avanti con la Fondazione del Merito e che punta alla creazione di un registro nazionale attraverso il quale censire tutte le persone affette da distrofie retiniche degenerative ereditarie, raccogliere i dati anagrafici, genetici e clinici dei malati e dei loro famigliari, oltre alla nascita di un network tra centri clinici e pazienti. O come vEyes Wear che è stato selezionato tra i dieci progetti finalisti del bando “Think for social” della Fondazione Vodafone e premiato con un finanziamento di 30mila euro, aumentabile se il progetto a gennaio 2016 verrà scelto dalla Fondazione. «Il frutto del lavoro su vEyes Wear – racconta il professore – è un dispositivo, di cui stiamo preparando la seconda versione, formato da occhiali e cintura». «Sugli occhiali -prosegue Salfi – abbiamo una cam wifi ad alta definizione, un auricolare a conduzione ossea con microfono bluetooth e un motore vibro su ogni stanghetta, mentre sulla cintura ci sono tra gli altri una cam 3D con sensore di profondità e un sistema di navigazione tattile».
Una infrastruttura, i cui componenti sono ricavati da altri device come per esempio gli smartphone, su cui si possono montare dei “mattoncini” come ama definirli Massimiliano Salfi. «Un mattoncino -spiega – non è nient'altro che un ausilio per i disabili visivi. Gli utenti non vedenti scelgono quelli che serve loro per riempire le loro carenze». «Per esempio – continua – è possibile con il Color detector riconoscere il colore dell'oggetto inquadrato dalla cam e averlo ripetuto con la sintesi vocale o con il Tracer Path rilevare la presenza di ostacoli in prossimità del disabile visivo al di sotto di una certa distanza prefissata». Un principio, quello dei moduli, che Salfi e i ricercatori che lavorano con lui hanno scelto per una ragione pratica ma anche ideale. «A nostro avviso questo sistema – spiega – consente agli utenti di non sentirsi più disabili di quanto siano. Se un dispositivo non gli serve non lo usano». vEyes Wear e tutti i progetti della piattaforma hanno una caratteristica comune: essere no profit e open source. «Ho rifiutato diverse proposte da alcune aziende multinazionali per il brevetti– dice Salfi –perchè la mia attività ha solo lo scopo di costruire un mondo che consenta a mia figlia e alle persone nelle sue stesse condizioni di vivere una vita il più normale possibile».
Una scelta di non utilizzare la piattaforma a scopo di lucro che si accoppia a quella di lasciarla “open source”, cioè aperta allo sviluppo da parte dei programmatori, ricercatori, appassionati di tutto il mondo, come già fatto con successo con la piattaforma Android. «L'abbiamo fatto – racconta il professore – perchè ci siamo accorti che noi non possiamo rispondere, per tante ragioni, alle esigenze di tutti. Lasciando la porta aperta a chiunque si voglia impegnare, sogniamo di creare una rete che faccia incontrare i bisogni degli utenti e le soluzioni degli sviluppatori. Per questo stiamo anche studiando soluzioni per invogliare ad aiutarci». I prossimi passi però sono l'elaborazione della seconda versione del vEyes Wear per il bando della Fondazione Vodafone, il proseguo delle attività della onlus vEyes nata nel novembre 2014 per gestire oltre all'attività scientifica la sensibilizzazione sul tema della disabilità visiva e soprattutto la costruzione di un modello economico sostenibile. «Le nostre attività – spiega Salfi – si sostengono solo attraverso le donazioni e i fondi erogati dai bandi. E a volte siamo io e i ragazzi che paghiamo le componenti per lavorare».
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