Esistono destini che non dovevano diventare quelle storie. E invece poi alla fine lo sono diventate. Esistono poi storie che non dipendono da quello che avremmo voluto essere, ma da quello che, invece, lo spazio attorno obbliga, in un certo senso, a diventare.
La vita di padre Maurizio Patriciello, sembra essere una di queste storie.
Quando parla, che sia nella sua chiesa nel cuore dell’hinterland napoletano, a Caivano, o davanti a una telecamera, padre Maurizio Patriciello tiene sempre stretto tra le mani un rosario. Simbolo di devozione e fiducia assoluta in quel Dio, che – come erroneamente qualcuno potrebbe pensare – in quella terra ha dimenticato i suoi figli.
Non voleva diventare prete
Lo stringe forte proprio lui che «in seminario», racconta, «ci sono entrato a 29 anni. Prete lo sono diventato a 34. Sono stato lontano dalla chiesa dieci anni e ho lottato, ho lottato per difendermi da tutto ciò che avesse il sapore di un impegno sociale. Mi sono difeso con tutte le mie forze».
Poi, quando è diventato prete, l’ha fatto «perché volevo fare il prete, e invece…». Invece si è trovato tra le mani, insieme al rosario, anche una terra spezzata in due. Stretta tra l’abbraccio mortale della camorra e dello Stato: la terra dei fuochi.
«Sono stanco di celebrare funerali con le bare bianche», spiega.
Prima di morire, Carmine Schiavone ha profetizzato “tra vent’anni morirete tutti di cancro”. Ed effettivamente, nei 57 comuni che si estendono tra Napoli e Caserta, 1.076 chilometri di terra, di tumore stanno morendo tutti.
Lo Stato e la camorra
«In questa terra», racconta padre Maurizio, «hanno fatto uno scempio. La camorra nostrana, quella dei casalesi, insieme ad una parte dello Stato colluso, hanno distrutto le vite di tutti. Anche se ora si cerca di dare la colpa solo alla camorra, io non ci sto. Non ci sto perché i camorristi hanno fatto l’unico lavoro che sanno fare, quella gente lì non ama nessuno, neanche i loro stessi figli. Schiavone prima di morire mi ha detto “Sono stati loro a venire da noi”».
“Loro”, “quelli dello Stato”, che prima hanno interrato rifiuti tossici, hanno fatto “affari convenienti” e poi hanno lasciato morire nel silenzio tutte quelle vite che padre Maurizio, sempre dal silenzio, raccoglie.
Il contattato con le persone
«Io parlo nella mia madrelingua», sorride. La madrelingua è il napoletano. «Una volta un onorevole mi ha detto “ci dovrebbero essere altri 100 padre Maurizio. Io gli ho risposto “Nun ce n’avesse stà manc uno”. Io, alla fine, sono diventato prete per fare il prete. Ho grande rispetto per le competenze degli altri. A quello stesso onorevole ho detto “onorè fatemi sentire una cosa, quanto guadagnate al mese?”, lui non ha risposto. Io invece guadagno 33 euro al giorno. 33 euro che spendo di benzina per girare nelle terre che stanno avvelenando». E quando gli si chiede “perché è sceso in campo?”, lui tristemente consapevole risponde «perché il campo è terribilmente vuoto. Terribilmente vuoto».
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona, rimane esterrefatto da quest’uomo che da un alto si trascina ma dall’altro trascina le vite degli altri. «Il rapporto con le persone è importante. Il confronto con la povertà è importante. Mi fa essere parsimonioso nelle mie spese. Mi vergognerei, mi vergognerei a farmi vedere in giro in un macchinone». Mentre parla ripete spesso le parole, come quasi a voler giustificare agli altri, come quasi a voler dire “rendetevi conto, aprite gli occhi”. Lo fa consapevole delle assurdità che è costretto a raccontare, assurdità che se non le vivi, quasi non ci credi. La sua parola è sempre invettiva, sempre lamento straziante per il dolore di vedere la solitudine della sua gente, povera gente.
Il fratello morto che l'ha aiutato a diventare prete
Poi, con dolcezza e disperazione profonda, si racconta «Mio fratello è morto di leucemia; è stato un padre, una madre per me. Non sarei diventato prete se non fosse stato per lui. Ma prima di lui, di leucemia si è ammalata sua figlia, poi è morto il mio migliore amico. Li stiamo vedendo tutti spegnersi uno alla volta».
Qua si muore di cancro
Quello che sta succedendo nella terra dei fuochi non è fantasia. «Ho celebrato poco tempo fa il funerale di una ragazza. La prima volta che l’ho vista è stata durante la marcia da Orta di Atella a Caivano. 50 mila persone… ognuno portava alte delle gigantografie di cari morti a causa del cancro. Questa ragazza ne portava tre in mano: la madre, il padre e la sorella. Quando a fine luglio l’ho incontrata, si stava preparando per andare una settimana in vacanza. In vacanza poi non è andata. È morta agli inizi di novembre, morta di cancro. Prima di morire mi ha detto “perché? Padre perché?”».
Essere cristiani
L’essenza piena della missione di padre Maurizio la scopri perché quando gli chiedono “come fa a credere ancora?”, lui risponde secco, deciso immediato «Io sono un cristiano. Io sono un prete. Sono un figlio della speranza. Noi cristiani siamo condannati a sperare».
Poi conclude «Se dovessi tacere, parlerebbero le pietre. Forse per noi è tardi, è veramente tardi, ma lavoriamo per quelli che verranno dopo».
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