Gehad, 27 anni. Quattro figli maschi: Muhammad di 6, Joseph di 5; Cosai di 3; e Kais che di anni ne ha solo uno. Poi Swausan sua moglie. Con i suoi 23 anni appena dovrebbe essere – ancora – una ragazza pure lei. Sono arrivati a Milano sette giorni fa. Cinque vite che si sommano a quelle degli altri migranti che negli ultimi giorni a Milano sono ritornati ad essere un’ emergenza: “l’emergenza profughi”.
La capienza complessiva dei centri di accoglienza milanesi è di 3600 persone. Ma nelle ultime due settimane qui i profughi arrivano con un ritmo di 200 al giorno. Sfuggono al controllo del Ministero dell’Interno e scappano dagli hotspot del sud Italia. Proseguono autonomamente il viaggio fino a Milano dove si fermano prima di ripartire per la Germania. Sognano di stabilirsi in quella nazione, non hanno altre scelte: «Austria no. Svizzera no. Francia no», ci dice Gehad elencando quei posti che “non li vogliono”.
«Germania sì». Li indica tutti con il dito sul Google Maps. E da Google Maps indica pure il luogo da dove lui, sua moglie e i suoi quattro figli maschi arrivano: «Io Siria». Dalla Siria è scappato a causa la guerra. E per raccontarcelo – lui che parla solo arabo – alza la mano per imitare il gesto di chi spara. Dalla Siria alla Libia; e dal porto libico di Zuara alle acque europee: «Qui mare Europa. Qui noi vivi».
Raccolti nelle acque e poi portati a Catania, da lì hanno proseguito prima per Roma e poi Milano. «Milano cinque minuti bus poi qui». Il “qui” di Gehad è l’hub che Fondazione Progetto Arca ha aperto lo scorso maggio in via Sammartini 120. Con il sostegno del comune di Milano e di Fondazione Avsi. Un centro nato come luogo di primissima accoglienza dove i migranti si dovrebbero fermare solo per qualche ora prima di ripartire.
La capienza dello spazio è di 70 posti. «Ma i centri di accoglienza sono pieni e negli ultimi giorni qui sono stati in 500», spiega Fabio Pasiani, responsabile comunicazione Fondazione Progetto Arca. La maggior parte arrivano da Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia. «Ma», continua Pasiani, «negli ultimi giorni sono ritornate le famiglie di siriani». Tante famiglie come quella di Gehad: «Siamo sfuggiti alla guerra e ora vogliamo vivere in pace. Vorremmo essere assistiti nell’ingresso alla Germania ma nessuno ci aiuta».
Negli ultimi quattro giorni a Milano sono arrivate 1000 persone. Per i giorni a venire il flusso non diminuirà. Se adesso la si chiama emergenza, tra pochi giorni si griderà al collasso. Lo spazio in via Sammartini 120 Progetto Arca l’ha avuto in gestione da Grandi Stazioni. Insieme a quello, da qualche giorno, sono stati aperti anche altri tre spazi adiacenti, sempre appartenenti a Grandi Stazioni, che però vengono utilizzati solo per la notte.
Durante il giorno i profughi si riversano sul vialone e nel piccolo parchetto – dove tengono i vestiti ad asciugare al sole – che si chiude in fondo con le rive della Martesana. Aspettano che il tempo passi. E mentre il tempo passa i bambini giocano. In questi giorni ce ne sono 70 in giro. Nonostante tutto sono terremoti di energia che è difficile tenere a bada. Allegri di essere arrivati. Contenti per essere vivi.
È vero che nessuno vuole rimanere a Milano; ma è altrettanto vero che Milano – in questo percorso della speranza – è una tappa fondamentale. Non è più una città di passaggio; è un posto di attesa e, sempre più, di ritorno. In teoria dovrebbe funzionare così: entro otto giorni da quando l’immigrato entra in Italia, deve chiedere asilo. Ma succede raramente. Le persone di solito si fermano il tempo necessario per riorganizzare il loro viaggio.
E visto che dopo i mesi di giugno e luglio i centri di accoglienza sono pieni, i profughi si fermano negli hub di prima assistenza – come quello di Arca – dove vengono registrati. Registrazione che serve non per essere schedati ma per avere un’idea del flusso dei migranti che arrivano in città.
Rimangono fermi anche dieci giorni e mentre i “vecchi arrivi” stanno fermi; quelli “nuovi” non smettono di arrivare. Ed è qui che il sistema si blocca. Soprattutto quando qualcuno parte e – dopo pochi giorni – ritorna perché è stato rispedito indietro da uno di quegli Stati che non vuole accogliere.
Serve più spazio: ma è già arrivato il no sulla possibilità di riaprire anche il vecchio centro di accoglienza in via Tonale di fondazione Arca: quel locale deve essere affittato ai privati. E Maroni ha negato l’apertura dell’ex campo base di Expo…
Ma mentre si cercano soluzioni i migranti non smettono – giustamente – di partire e sperare.
Un giorno nell'hub dei piccoli migranti
Testi e foto di Anna Spena
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