La macchina fotografica negli ultimi tre anni di viaggi l’ha abbassata solo una volta. Era il settembre 2015 e una donna siriana, scappata dalla guerra e risparmiata dal mare, stava partorendo un bimbo incastrata tra gli scogli su una spiaggia dell’isola greca di Lesbo. «Mi è sembrato un segno di rispetto», racconta Danilo Balducci, fotografo aquilano di 46 anni.
Ma quella è stata veramente l’unica volta. Ha fotografato i migranti a Calais, ad Idomeni e poi a Belgrado, Šid e Kelabija in Serbia e Subotica al confine con l’Ungheria. E poi ancora in Croazia a Tovarnik, Bregana, Opatovac, ed al confine greco macedone sulle sponde del fiume – ghiacciato – Suva Reka.
Di quelle migliaia e migliaia di scatti ha scelto 67 fotografie e ne ha fatto un libro, edito da Edizioni L’Una, “La linea invisibile”.
«Il titolo nasce da un’esperienza personale», continua. «Nel 2015 sono stato trattenuto dalla polizia croata. Stavo camminando in un campo e, senza accorgermene, ho superato il confine tra la Serbia e la Croazia: ho attraversato un confine invisibile, un confine che non esiste. E poi invisibili sono anche le linee che formano queste persone: nessuno le vuole vedere».
Era il 2015 quando ha deciso di partire, lasciare tutto e seguire queste persone nel loro viaggio di speranza alla conquista di una nuova vita: «Non sono mai passate più di due settimane tra un viaggio ed un altro, a volte neanche un giorno».
Ne è nata una storia dentro la storia, un racconto fotografico dove gli occhi di Danilo immortalano i dettagli non di un “fenomeno migratorio” come spesso siamo soliti chiamarlo ma più che altro un fenomeno umano perché tutti hanno il dovere di tutelare la propria vita.
Il cuore, il punto d’inizio è quello che è stato il BaoBab di Roma: «Ho seguito tutto lo sgombero. Ci sono andato una volta e poi non ho più smesso», spiega Danilo. «Non andavo la a scattare due foto ai bambini per vendere e poi andavo via. Andavo li e ci rimanevo: c’ho passato tutta l’estate, per questo poi ho deciso di partire».
I corpi morti recuperati dall’acqua, anche quelli dei bambini. I fili spinati ungheresi. Il silenzio dell’Europa. La noia dei migranti messi lì a marcire nei Balcani.
«Io credo che le immagini raccontino di più della parola», spiega Danilo. «Ed è vero che l’inquadratura è il frutto del mio occhio, ma la fotografia non è mai solo un esercizio di bellezza».
«Prima di fotografarli io ci parlo per ore con i migranti. Voglio entrare nella loro vita. Immergermi nella loro storia. Sentire il loro dolore. Le foto devono scioccare chi le guarda».
Ed entrare nella loro vita significa capire. La linea invisibile si apre con questi versi della poetessa Warsan Shire
Dovete capire
Che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terraHome, Warsan Shire
«Questi versi mi hanno folgorato», ammette Danilo. «Perché il mare è sempre più sicuro della terra se ti piovono le bombe addosso».
«Vedete io non sono un politico. Non ho soluzioni. Però sono una persona e posso dire che il più grande errore è mentire sui numeri: li gonfiano quando in realtà il rapporto tra immigrati e popolazione è bassissimo»
Poi la poesia prosegue
Affretta il passo / Lasciati i panni dietro /Striscia nel deserto / Sguazza negli oceani / Annega / Salvati/ Fatti fame/ Chiedi l’elemosina/ Dimentica la tua dignità / La tua sopravvivenza è più importante.
Il nostro dovere morale è accogliere: «Sulla banconota dell’euro da un lato c’è un ponte, dall’altro c’è una porta. Questo vuol dire possibilità d’ingresso, significa passaggio. L’Europa questa banconota se la dovrebbe riguardare».
La linea invisibile
Testi di Anna Spena
Foto di Danilo Balducci
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