Ci deve essere una forza umana che è concretamente più forte della forza di un contesto. A sentire parlare Davide, 26 anni, napoletano del Rione Sanità non potrebbe essere altrimenti. E sì, a parole si può raccontare tutto, ma quando dalle parole pronunciate trasuda l’eccitazione per la vita nuova che Davide si è scelto, immaginiamo che diventi difficile raccontare una bugia. Davide è un ex delinquente e oggi mentre impazza il fenomeno “baby gang” lui con quei bambini ci parla spesso. E loro lo ascoltano perché lo riconoscono.
Quando abbiamo intervistato Don Antonio Loffredo, il parroco “ribelle” del Rione Sanità, per farci spiegare da lui come si è arrivati a questo punto ci ha risposto: «Inutile puntare il dito solo su famiglie disastrate, servizi assenti, Gomorra e malavita. Questa mostruosità è colpa nostra, facciamo un po’ schifo. Ai nostri ragazzi non possiamo neanche più chiedere “cosa ti piacerebbe fare da grande?”».
E poi quando gli abbiamo chiesto “cosa possiamo fare noi, qual è la strada da percorrere” ci ha risposto Davide, i ragazzi come Davide. Giovani che sono passati dal disagio e che stanno imparando a conoscere valori nuovi, altre strade possibili. Perché “la bellezza ci sta sempre. Io lo so che ci sta. Ma è la fonte che cercano e a volte non riescono a vedere. Ma se chi era come loro gli dà un indizio su dove sta, tutto diventa più semplice”.
Questa è la storia di Davide. Da criminale ad educatore di prossimità, educatore di strada.
Io mi chiamo Davide…
Mi chiamo Davide, ho 26 anni e sono disoccupato. A 16 anni ho lasciato la scuola. Mi sono dedicato agli affari loschi. Palo nelle piazze di spaccio, spaccio, rapine. Si inizia come un gioco. Prima di iniziare a Napoli però sono stato ad Ibiza tanti mesi a spacciare le pasticche nei locali. È che ad un certo punto della mia vita ho conosciuto tutti i tipi di persone, quelle che fanno un lavoro pulito e quelle che lo fanno sporco. Ma crescendo in un quartiere come il Rione Sanità è difficile guardare il mondo in maniera differente così sono stato catapultato nel meccanismo e mi sono legato alle persone che stavano nel meccanismo con me, siamo diventati amici. Il mio è un territorio tutto disagiato, guarda che nei circuiti loschi ci entri facilmente. La televisione, i social, pure loro ti portano a pensare agli obiettivi sbagliati. Vuoi la ragazza belle da portarti sul motorino e la cento euro facile nella tasca. Ma mica lo sai quello che stai combinando. E intanto sono diventato manovalanza degli affari loschi.
La mia famiglia
Eppure io vengo da una famiglia che fortunatamente fa parte di quelle che lavorano: mio padre fa l’operaio saltuariamente e mia madre, invece, lavora in una ditta di pulizie però ad Avellino quindi tutti i giorni, poverina, si fa 100 chilometri. Mio fratello, 33 anni, è disoccupato pure lui. Loro i valori me li hanno insegnati. Ma forse io non li ho capiti. La mia famiglia non aveva niente a che vedere con quel mondo la.
Lo sai che cos’è la criminalità? La criminalità è la mancanza di qualcosa.
Davide
Fare (non essere) un criminale
Quando fai il criminale non è bello, ti passa nel cervello quella sensazione di essere un piccolo già grande. È che in mezzo agli affari loschi si cresce in fretta e sulle spalle però, a parte la cento euro facile, stai pure pieno di cose negative. Entri in un meccanismo strano. Anche se vuoi bene alle persone che fanno gli affari loschi con te, anche se ci sono rapporti di amicizia in mezzo non ti riesci mai a fidare fino in fondo di loro. Pensavo sempre che da un momento all’altro potevano farmi qualcosa di male e lo so che pure loro lo pensavano di me. Ad un certo punto mi facevo paura da solo e mi dicevo “sono davvero io questa persona?”.
La seconda vita
Poi quando avevo 20 anni ho iniziato a pensare a mia mamma. Mia mamma che già si fa 100 chilometri al giorno per andare a lavorare. E poi? Che doveva fare? Venire pure in carcere per fare il colloquio con me? Ma in carcere fortunatamente non ci sono mai entrato, ho smesso in tempo. Prima che mi prendessero. Ho cambiato vita perché ho visto che quella non era vita. La sopravvivenza non mi è mai piaciuta. Se oggi ho 10 euro in tasca, penso che me li sono sudati. Che sono i miei. E che posso mangiarmi il gelato dove voglio perché non ho fatto male a nessuno per averli e perché non ho rimorsi. Non fare il criminale per me è significato tornare ad essere libero. Prima invece quando tornavo a casa la sera non riuscivo a mettere la testa sul cuscino: fare male alle vite degli altri lascia un certo segno dentro.
Se sono cambiato io
Se sono cambiato io possono cambiare tutti. Perciò non ho pregiudizi. Per questo parlo con i piccoli delinquenti di oggi, con le baby gang. Se sono cambiato io è perché ho sentito che qualcuno stava credendo in me. Perciò dobbiamo credere anche in loro. Con padre Loffredo del Rione Sanità all’inizio ero diffidente. Sono uno antisistema. Le baby gang sono sempre esistite e il marcio che c’è oggi è voluto. Però lui ha creduto in me. Lo sai che cos’è la criminalità? La criminalità è la mancanza di qualcosa. Fosse per me investirei sulla scuola. Ah io a scuola adesso ci sono tornato, mi sto prendendo il diploma psicopedagogico perché voglio fare l’educatore per davvero. Però chiariamoci non è che al bambino del Rione Sanità gli puoi far fare a scuola il progetto di cucito. E questo quando viene? Il territorio lo devi ascoltare. Io ho proposto la boxe. Sto sviluppando per le scuole del quartiere il progetto “Un pugno alla criminalità”. Questo sport sembra aggressivo e invece è tutta disciplina. Ai bambini gli dico cosi: “Se studi e vieni a scuola invece di stare in mezzo alla strada, il pomeriggio ti faccio fare boxe senza pagare”. Io con questi ragazzi sono sincero. Gli racconto il mio passato. A fare il criminale in tasca che mi sono trovato?
Foto: Gianfranco Vitolo, flickr
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