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Parco Trotter, così nascono le Silvia Romano

di Lorenzo Maria Alvaro

All'interno dello storico parco milanese sorge la Casa del Sole, oggi Istituto Comprensivo Giacosa, nata nel 1924 e dedicata a ragazzi gracili o con problemi di salute ha sempre voluto essere un modello. È qui che è cresciuta la ragazza rapita il 20 novembre scorso in Kenya ed è qui dove vengono educati tantissimi ragazzi che poi intraprendono la via della cooperazione

Una scuola di cinquemila metri quadri all’interno dell’ex convitto del parco Trotter, che accoglie 375 ragazzi della scuola media dell’Istituto Comprensivo Giacosa.

L’altra metà dell’edificio messa al bando per l’assegnazione, rivolto a chi meglio dimostra di volerne fare un punto di riferimento per il quartiere multiculturale di Via Padova. È qui che è cresciuta e ha sviluppato la sua passione per gli altri e per la cooperazione Silvia Romano, la ragazza rapita il 20 novembre 2018 in Kenya.

Il Trotter prende il nome dalla società del Trotter, modo in cui veniva definita la società nazionale del trotto. Quindi, com’è facilmente intuibile, era un ippodromo, attivo dal 1906 al 1924. Luogo di attrazione per la borghesia milanese, era adibito non solo alle corse di cavalli ma anche a gare ciclistiche, motociclistiche, automobilistiche o ad altre manifestazioni, come il decollo e l’atterraggio del dirigibile Forlanini nel 1911.

Nello stesso periodo, a Milano opera un’associazione dal nome “per la scuola”, di cui fanno parte insegnanti, medici e diversi benefattori. Poiché quasi la metà degli alunni che frequentano le scuole milanesi sono considerati “gracili” (ai tempi prolifera la tubercolosi), l’obiettivo di questa unione è l’istituzione di una scuola all’aperto per rinvigorire fisico e mente delle nuove generazioni, a sostegno di una pedagogia che pone l’accento sul fare.

Un pensiero che si rifà a diverse correnti antindustrailiste che in quel momento prendono piede in tutta Europa. Attraverso attività manuali e agricole, il bambino diventa attivo e cessa di essere un semplice contenitore di nozioni. Inoltre recupera il rapporto con la natura che l’adulto sembra aver smarrito.

Nel ‘19 l’assessore alla sanità Luigi Veratti, membro della giunta socialista, incarica l’ing. Folli di progettare la scuola all’interno del parco. L’istituto inizia la sua attività nel ‘22 ma viene inaugurato nel ‘25, quando la società del trotto si trasferisce definitivamente a San Siro.

I bambini accolti dal Trotter provengono principalmente da famiglie povere e sono accettati su certificazione dell’ufficio di igiene e sanità. Il convitto ne ospita 160 che dormono all’interno della scuola. Sono coloro esposti al rischio di contagio poiché conviventi con familiari affetti da tubercolosi.

Le aule sono distinte in dodici padiglioni dislocati all’interno del parco, vere e proprie casette a misura di bambino. Composti da un unico piano, ciascuno contiene quattro aule e un refettorio per colazione e pranzo. Costruiti su modello dello chalet svizzero, sono decorati in maniera sobria, in completa armonia con l’ambiente naturale circostante. Oltre alle aule, il parco è dotato di aree per attività collettive coordinate al modello pedagogico di riferimento; stalle, orti, frutteti, stagni, piscine, palestre e chiesetta. Una scuola all’avanguardia, immediatamente rinomata in tutta Europa. D’estate il parco si trasforma in colonia estiva e cura elioterapica, ospitando fino a 2500 bambini.

Il progetto passa ben presto nelle mani della giunta fascista, il cosiddetto Blocco Nazionale, che conclude i lavori nel ‘28 e nomina la scuola “Umberto di Savoia” e il convitto “Casa del sole”. La scuola possiede ora quattro sezioni del grado preparatorio (scuola materna), diciotto classi elementari maschili e quindici femminili, un corso maschile di avviamento alle professioni agrarie e uno femminile per la preparazione della “donna di casa.”

Ha anche un periodico, dal nome “Bimbi al sole” e, data l’importanza dell’istruzione per formare “l’uomo fascista” e per ottenere consenso, guadagna molta attenzione da parte dei gerarchi dell’epoca di cui riceve frequenti visite.

È così che la scuola del Trotter si discosta dai suoi principi fondatori per reinterpretarne il modello educativo in chiave fascista. Le attività pratiche a contatto con la natura diventano mero esempio di lavoro a servizio della patria, l’economia domestica pone l’accento sulla subordinazione della donna all’uomo, l’attività fisica è utile a trasmettere il senso della disciplina e dell’obbedienza. Non mancano naturalmente marce, divise, inni al duce.

Con l’arrivo della seconda guerra mondiale, la scuola chiude i battenti. Nel ‘42 i bambini vengono trasferiti a Seregno e il quartiere di Turro è raso al suolo dai bombardamenti.

Cessato il fuoco, in uno dei padiglioni rimasti in piedi nasce una balera, nota come “mille e una notte” del Trotter, ma nel giro di poco tempo gli ingegneri Madonnini e Perucchini si danno da fare per la ricostruzione della scuola.

Nel ‘47 i bambini rientrano da Seregno ed entro il ‘50 tutti gli edifici vengono ristrutturati. L’intera struttura prende il nome di “Casa del sole” e abbandona ogni storpiamento fascista dei propri principi pedagogici per tornare all’originaria impostazione attivistica.

Ora l’educazione verte sulla liberazione della potenzialità espressiva degli alunni attraverso attività manuali e artistiche e sulla sensibilizzazione ai temi della socialità e della democrazia. In quest’ottica sorgono diverse cooperative formate dagli alunni stessi; c’è chi si occupa dell’orto, chi dei prodotti lattieri, chi dell’allevamento e della vendita dei polli. Un vero e proprio microcosmo in cui i bambini imparano come funziona il mondo. Il periodico fascista “Bimbi al sole” viene sostituito da “Parlano i ragazzi,” stampato dalla tipografia interna alla scuola.

Nel ‘76 il parco viene dischiuso al pubblico per rispondere alla richiesta di spazi verdi da parte dei cittadini. Tuttavia l’amministrazione riduce progressivamente il proprio contributo finanziario. Non intervenendo nella ristrutturazione del convitto, quest’ultimo viene gradualmente abbandonato. Vittima continua di atti vandalici, il parco va incontro a un crescente degrado, arginato grazie all’intervento dei genitori, che si uniscono al fine di richiedere nuovi investimenti.

Negli anni che seguono, grazie alla possibilità data alle scuole di organizzare il “tempo pieno”, la “casa del sole” si apre alla sperimentazione verticale, un progetto che si propone di coordinare attività di materna, elementari e medie, anticipando i futuri istituti comprensivi. Introduce inoltre l’integrazione dei bambini portatori di handicap. La didattica si orienta sulla ricerca, stimolando gli alunni ad una capacità di analisi e comprensione della realtà sociale. Tuttavia la sperimentazione verticale mostra ben presto i propri difetti e va ad esaurirsi.

Negli anni ‘90 il comune stanzia finalmente dei soldi ai fini della ristrutturazione ma la scuola ne riscuote soltanto una parte che viene investita nei restauri più superficiali. Il convitto non viene toccato.

Nel ‘90 nasce, in quello che sembra un ritorno alle origini, il MUBA, museo del parco. Sostenuto dalla rivista Airone Junior, e ispirato a un’idea di Bruno Munari, si tratta di un allestimento espositivo pensato e realizzato dai ragazzi, in cui vige la sola regola “Vietato non toccare”.

In questi anni la scuola si orienta verso la corrente costruttivista, che ancora una volta sostiene l’importanza dell’esperienza concreta ai fini dell’apprendimento. Nel ‘94 nasce l’associazione “Amici del parco Trotter”, che ha come scopo la tutela, la conservazione e la valorizzazione dell’area.

Varie idee si accavallano e scontrano riguardo il futuro del sito, ma le promesse di finanziamenti non sono quasi mai mantenute. Tuttavia è ancora una volta qui che, nel ‘95, si costituisce il primo istituto comprensivo d’Italia, basato sulla continuità educativo-didattica. Con l’avvento della globalizzazione e la sempre maggiore affluenza di alunni stranieri, il Trotter introduce i temi dell’educazione interculturale, lo sviluppo, la pace, diventando un argine contro il diffondersi di xenofobia e intolleranza. Con il “progetto per stranieri”, propone una didattica che stimola il rispetto delle identità culturali e crea occasioni di dialogo.

Nel 2003 il progetto Abita, “la città dell’infanzia,” elaborato da un’équipe di architetti del Politecnico, viene approvato dall’amministrazione comunale. Prevede un riordino dei padiglioni, l’inserimento di funzioni pedagogico-didattiche destinate ai ragazzi di tutta la città, la riqualificazione del parco per salvaguardarne l’integrità storica.

Tuttavia i lavori faticano ad avanzare. Il restauro del convitto si trascina fino all’anno di Expo.

«La ristrutturazione del convitto è frutto di un’opera lunga e faticosa perché si trovava in condizione pessime. Era inagibile, buona parte del tetto era crollata e vi erano cresciuti alberi all’interno», racconta Giorgio Perego, membro del direttivo dell’associazione “Amici del parco Trotter” dal lontano ’94. «Il convitto, quando il Trotter era un ippodromo, ospitava le scuderie, perciò nacque, a livello strutturale, privo di fondamenta. Poi divenne il convitto vero e proprio, che ospitava i bambini a rischio contagio, coloro che convivevano con parenti affetti da malattie. Smise di funzionare intorno all’85, quando il comune decise di non investire per la ristrutturazione. Ci fu il tentativo di introdurvi il Leoncavallo ma i membri stessi del centro sociale lo ritennero inadatto perché molto frammentato a livello di spazi».

«Il desiderio del Trotter era, fin da subito, la conversione in scuola media», continua Perego, «Quando fu eletto Pisapia, la fondazione Cariplo decise di investire otto milioni su una situazione particolare della città. Pisapia, credo per la prima volta, scelse la periferia e non il centro, e il convitto ha iniziato a rinascere. Tuttavia Fondazione Cariplo non può occuparsi di istituti statali e scolastici perciò si trovò un compromesso; metà convitto sarebbe stata una scuola e l’altra metà un centro di aggregazione per il quartiere».

«La scuola oggi è composta da una grande utenza straniera dovuta alla zona in cui si trova», aggiunge «Via Padova è sempre stata una via di accesso alla città, inizialmente c’erano i migranti del sud Italia e ora ci sono quelli del sud del mondo. Alcuni la definiscono una “scuola-ghetto” perché rispetto ad altre scuole ha un maggioranza di alunni stranieri, circa il 70%. Io penso che il corpo insegnante stia rispondendo bene alle problematiche che si trova ad affrontare nelle classi. È chiaro che portare avanti tutti vuol dire, talvolta, andare tutti un po’ più lentamente. I miei figli hanno frequentato il Trotter e oggi sono tutti e tre laureati, quindi non sono stati minimamente penalizzati dalla scuola. Certo, molti genitori italiani preferiscono spostare i figli in altre scuole dove si hanno più sicurezze».

«A livello didattico è rimasto qualcosa dei modelli di riferimento con cui la scuola è nata e vissuta, ma solo nei vecchi insegnanti. Ogni insegnante che arriva poi porta la propria esperienza», racconta Cristina Perego, docente di lettere in pensione che lavfroa ancora nella scuola come volontaria. «Nella scuola media si attua un po’ di più il metodo il metodo dell’imparare attraverso l’esperienza; hanno la fattoria, si coltivano gli orti, si fanno attività di orientamento, eccetera. Seguono un certo tipo di discorso sul parco nello specifico. Ma sinceramente a livello generale non c’è più il sogno didattico di una volta».

«Questo parco», continua la professoressa, «fino agli anni ’70, è sempre stato chiuso al pubblico. C’erano la fattoria, gli orti, la piscina e tutta una serie di attività che permettevano lo svolgimento di un certo tipo di didattica. Il parco era proprio il cortile della scuola. Nel ’76 si è aperto al pubblico il sabato e la domenica, così sono spariti gli animali della fattoria. Un’azione fatta senza lungimiranza; non c’era un custode e non c’era sicurezza. Si sono susseguiti atti di vandalismo. Negli anni 90 è stato aperto anche tutti i giorni dalle 16,30. Quindi questa didattica non è più possibile. Ora solo l’intervallo si fa all’aperto».

«Inoltre qui la situazione è un po’ particolare; è una scuola sviluppata orizzontalmente, ogni padiglione è un’interclasse (tutte le prime da una parte, le seconda dall’altra ecc.)», spiega Perego, «In questi ultimi anni ci è mancato un dirigente che facesse da collante. Spesso ogni padiglione andava un po’ per conto proprio, c’erano insegnanti che non usavano libri di testo per continuare la didattica originaria e altri meno attenti alla storia della scuola. La nostra speranza è che con il nuovo dirigente si ritrovi un’unità d’intenti fra la scuola elementare e la scuola media».

Quello che è il tratto distintivo della scuola è l'accoglienza: «sono qui dal 1982. Prima avevamo l'immigrazione dal sud con alunni che avevano disagi famigliari. Nel corso degli anni poi sono arrivati gli alunni stranieri. Proprio per via della storia di questa scuola abbiamo sempre lavorato sull'integrazione, ponendoci il problewma di creare dei facilitatori per l'alfabetizzazione e poi mettendo molta attenzione nel creare il gruppo classe. In effetti l'integrazione tra bambini è più o meno naturale. Il vero nostro lavoro era con i genitori. Abbiamo sempre puntato sul coinvolgere i genitori strabnieri nelle attività della scuola. Questo naturalmente ha una ricaduta anche sul quartiere».

È in questo humus che è cresciuta Silvia Romano. «Non ci ha per nulla stupito che Silvia sia andata via per fare cooperazione, è una cosa che per chi è cresciuto qui è del tutto naturale», racconta Francesca, ex studentessa del Trotter e compagne di classe di Silvia, «siamo in un quartiere molto vivo e eterogeneo. Sono abituata sin da bimba ad avere a che fare con il diverso. Crescendo e grazie anche alla scuola, mi sono trovata a rendermi conto che per gli occhi esterni la mia quotidianità poteva sembrare strana. Il fatto che la mia compagnia sia multietnica ad esempio per me è sempre stata scontata».

Oggi Francesca lavora in un centro di accoglienza per rifugiati politici e ha studiato cooperazione internazionale. «Questa scuola è stata il mattone fondante per le scelte che ho fatto poi nella vita».

È chiaro che è un quartiere che ha i suoi problemi», racconta invece Irene, anche lei ex studente del Trotter e compagna di Silvia. «Forse l'unica criticità è che essendo cresciuta dalla materna alle media qui al Comprensivo avevo un po' paura di lasciare il nido. Oggi studio a Brera perché qui sono stata incoraggiata a sperimentare nell'ambito artistico. In realtà ho inziato al Classico, ma disegnavo tutto il tempo e così è stato e idente quale dovesse essere la mia strada».

Per Francesca e Irene è del tutto naturale che ci sia negli ex allievi l'interesse per l'altro: «qui al Trotter tutti sono sempre spronati a fare attività al di là della semplice didattica. È una scuola piena di stimoli che spinge tutti a mettersi in gioco. Il resto lo fa il quartiere».

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