Mirafiori è un quartiere popolare della periferia sud di Torino conosciuto tradizionalmente come quartiere operaio, ma negli ultimi anni è cresciuto tra i palazzi il numero dei laureati: una crescita culturale con un bassissimo effetto in termini occupazionali. Infatti, in Italia il canale principale con cui trovare lavoro continua ad essere il “capitale sociale” (nel 38% dei casi secondo Istat Attraverso parenti, amici, conoscenti), ma a Mirafiori conosci solo gente di periferia che non ha opportunità per laureati quindi l’effetto è maggiore consapevolezza stesso reddito dei genitori operai (a volte inferiore).
Per questi “tipi studiati” il primo maggio non è stato un giorno di festa, ma di sofferenza. Abbiamo trascorso la giornata con alcuni di loro, tutti over 40, laureati e con figli che vivono tra il lavoro e il nonlavoro, in una nebulosa di situazioni instabili che stanno sopra la miseria, ma sotto la serenità. Lasciamo scorrere le loro parole come gocce di pioggia in un quartiere dove il lavoro non è solo il reddito, ma una parte costitutiva della persona. Saranno solo nomi perché così hanno chiesto.
Paolo racconta della sua ultima busta paga di 434 euro e della sua sinistra «che non contiene più la rabbia, non ha la santa collera, pensa di comprendere gli esclusi mentre si accarezza la pancia». Racconta la discesa nella disoccupazione e gli spiragli di emersione. «Quando sei disoccupato tutto appare sotto forma di nebbia insufficiente e continua. Tutto è ripetitivo, la monotonia però non è fuori, ma dentro. Le giornate sono pesanti come se fossi in un carcere. Ma il primo che le rende pesanti sei tu stesso: stai seduto a recriminare, e aspetti, soffochi perché i polmoni sono chiusi nel petto che si curva per guardare l’ombelico». Invece Giacomo è attivo, però «è umiliante cercare lavoro, è umiliante non essere cercato da nessuno; con la tecnologia che avvicina, le relazioni si fanno più lontane. No all’Ufficio Pio non vado. Passo ore ad aspettare un messaggio, una mail o uno squillo». Sai piano piano ho iniziato a vedere offuscato, prosegue, “tutto mi appare vuoto, vacuo. Mi manca persino la tenerezza, la capacità di commuovermi e di amare. Mi manca qualcuno con cui parlare, uno solo che ascolti e comprenda. Sono senza forza e senza energie. La mattina dormo, non ho l’intenzione di alzarmi dal letto, aspetto il niente che avanza, senza coltivare più né rancori né desideri. Sono un’ombra neutra. Non ho né fantasie né preferenze, tutto mi scorre addosso. Le giornate sono uguali le une alle altre: quando esco cammino senza meta, leggo senza interesse, ascolto senza sentire, mangio solo per nutrirmi, mi muovo come per un puro caso. La notte non sogno, perché non dormo, la mia è un’enorme insonnia che mi impedisce di riposare».
Ancora più interessante il racconto di Giovanni «ormai io sbando come un pugile a cui tremano le gambe per i colpi, tengo le mani basse e il viso guarda verso il basso così i colpi si fanno sempre più pieni mentre non odo una parola di incitamento: coraggio tira su quelle braccia. Devi capire che quando sei disoccupato la gente ti schiva, come se fossi affetto da una malattia contagiosa. D’altra parte se ti chiedono come va? non puoi che parlargli del tuo nonlavoro. Tutti gli argomenti che puoi affrontare alla fine precipitano sulla disoccupazione, sui problemi ecc. e nessuno ha voglia di sentir sempre parlare di problemi, nessuno ha voglia di incontrare una faccia da funerale. Allora sei solo come un cane, non hai lavoro, ma se vuoi avere una relazione sociale, ti devi atteggiare come uno che ha vinto la lotteria, fare battute, offrire da bere al bar, pagare il cinema, fare prestiti ad amici che sai non saranno in grado di restituirteli e perché no, ogni tanto elargire qualche mancia, fare qualche sorpresa a tua moglie, un regalo a tuo figlio».
Roberto ha deciso di non raccontare niente a nessuno perché dice di non sentirsi «accolto e capito». «È inutile, prosegue, parlare con qualcuno che non senti essere dalla tua parte, che ti ascolta come se gli parlassi del tempo o dei risultati delle partite…». E allora dico «meglio soli, io e il dolore, faccia a faccia, nell’attesa». È questo il mondo aleatorio della sotto occupazione qui non sono possibili equilibri e passi eleganti: stare in piedi è tutto.
Le foto sono a cura di Valerio Damini e Fabrizio Floris
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