Innovazione sociale

La sarta artista che rammenda le ferite

di Sanzia Milesi

Ritratto dell'artista “cucitrice” Sara Conforti che nei suoi progetti di sartoria sociale coinvolge da anni un vasto pubblico: dalle collezioni di abiti in edizione limitata prodotte con comunità di donne in stato di fragilità o giovani studenti, alle performance pubbliche di sensibilizzazione ad una moda etica e sostenibile nei “Concerti per macchine per cucire”.

«Per sopravvivere agli strappi della vita, è necessario imparare a ricucirli». Muove rendendo pragmatico questo pensiero, Sara Conforti, torinese classe 1973, a lungo assistente di Michelangelo Pistoletto, maestro dell'arte povera italiana. Dal microcosmo del proprio vissuto al macrocosmo di un sistema moda sostenibile, la possibilità di sentirsi parte di un tutto e provare a cambiare le cose.

È così che, quelli che lei chiama “percorsi di sopravvivenza sartoriale”, quasi sempre partono da lavori sulla memoria e racconti del vissuto di ciascuno. Si scava nel proprio passato, come anche nel proprio armadio, in cerca di abiti da rimettere a nuovo, per ricucire la propria veste. Ma il contenitore è plurale ed è dunque un “tessuto collettivo” quello che riesce a creare Sara nei suoi percorsi. Toccando corde molto personali, lei infatti inquadra temi d'importanza collettiva, come sostenibilità ambientale e inclusione sociale, e da qui intesse una rete. Coinvolge alcuni colossi dell'industria tessile biellese certificati dall'Associazione Tessile e Salute, tra cui il lanificio del Gruppo Marzotto, e scuole come l'istituto professionale Zerboni di Torino; dalle associazioni per donne in stato di fragilità, come la comunità “Fragole Celesti” di doppia diagnosi femminile per la cura di abusi, maltrattamenti e violenze, alla “Campagna Abiti Puliti”, sezione italiana della “Clean Clothes Campaign”; dai Centri Antiviolenza Donna e le carceri, sino alle istituzioni culturali come il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea o la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

«Il kit di sopravvivenza dei workshop prevede di partire sempre da un taccuino Moleskine di progettazione, in cui elaborare le proprie memorie: è questo il moodboard, la guida al proprio lavoro»,spiega Sara, che in oltre otto anni di “sartoria errante” conta di aver coinvolto più di mille persone, tra cui ad esempio rifugiate siriane, somale e congolesi, per favorirne l'inserimento sociale, «In questo mondo sempre più solipsistico, farsi carico del dolore e della gioia dell'altro riesce a metterci in contatto con la realtà. Tutto questo non è solo una pratica artistica, ci apre a condivisioni che possono cambiare la nostra visione dell'altro. Aggiustare il proprio abito è un atto di resilienza. È praticare trasformazione».

Così racconta della piccola collezione di borse “made in UGI (Unione Genitori Italiani)” realizzata con cravatte dismesse e destinata alla raccolta fondi di un centro tumori infantili. Oppure della creazione di un archivio condiviso sul concetto di abito della festa come elemento di gioia, con le 295 famiglie del Comune di Colleretto Giacosa (TO). Tra crowdfunding e fornitura di materie prime da parte di colossi del tessile biellesi, il successo e l'immediato sold outdelle due collezioni moda con le donne della comunità “Fragole Celesti”, tra serigrafie al carbone vegetale e ricami a mano che riportavano le frasi scritte dalle utenti. E ancora, l'ultimo nato, il progetto “Pater” messo in piedi con le giovanissime allieve di 13/17 anni della sezione moda dell'istituto Zerboni di Torino sul tema dell'uomo importante: attraverso il portato di queste storie individuali, il riutilizzo dei vecchi pantaloni dei padri per dar loro nuova vita.

«Mi piace chiamarla produzione in-localizzata», prosegue Sara Conforti, «perché ciascun soggetto entra dentro una parte di processo, ne è parte attiva: uno rifornisce la pezza di fine campionario, l'altro disegna, qualcuno taglia, c'è chi cuce, chi promuove e chi espone, e così poi questi lavori finiscono spesso per diventare vere e proprie opere d'arte vendute in galleria per rifinanziare queste realtà.»

Una ape-car per i suoi laboratori nomadi e nessuna voglia di rallentare, Sara Conforti, dal 2011 ha creato l'associazione culturale “Hòferlabproject” e “Antica Sartoria Errante Project – laboratori nomadi per una moda sostenibile”, mentre nel 2018 ha fatto nascere“Lalageatelier Dispositivi Vestimentari”, contenitori attraverso i quali porta avanti le proprie idee. Ultimissima iniziativa di sensibilizzazione a una filiera moda trasparente, che la vedrà coinvolta per l'intero 2020 in diverse città d'Italia da Genova a Palermo, è quella di #CambiaModa, progetto cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e sostenuto dal programma Made in Justice di Mani Tese.

Intanto, senza perder tempo, Sara è già al lavoro per il suo dodicesimo “13.600 Hz Concerto per macchine per cucire”, previsto per dicembre 2020.

https://www.youtube.com/watch?v=kUFQ4tbtxSM

«La tecnologia delle macchine per cucire»,chiude «è qui prestata ad un altro tipo di cucitura: quella sociale, artistica, ambientale. Si tratta di una performance, nata nel 2013 e costruita attorno al suono delle macchine per cucire, ogni volta focalizzato su un tema e una diversa costruzione scenica site specific. Dall'esibizione per lo stilista Antonio Marras, legata alla figura di suo padre, all'ultima invece legata alla memoria di mia madre. Ho portato in scena addirittura alcune macchine storiche del 1850, appartenenti alla collezione privata di Giuseppe Brioschi di Arcore. C'è stato il lavoro sul crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, dedicato ai suoi 1.129 morti e ai suoi oltre 2.500 feriti per il risarcimento alle famiglie delle vittime, oppure un'edizione incentrata sui rapporti di lavoro nel calzaturiero, denunciando l'uso di prodotti nocivi alla salute e condizioni di vita degli operai non dignitose. La formula è sempre quella: 21 minuti di concerto, unendo il “noise” delle macchine per cucire, con la sirena di inizio lavoro delle fabbriche, a momenti di videoarte e presenze attoriali. Mai nulla di monodirezionale, bensì un lavoro corale e partecipato, in cui vengono coinvolte istituzioni e associazioni, aziende e cittadinanza.»

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