Il suono del lockdonw è stato il silenzio.
«Gesti identici a se stessi. Non serve più il mio nome. Lavo la maschera»
Con queste frasi appuntite, brevi flash ad aprire squarci oltre le già potenti immagini, Francesco ha raccontato il suo lockdown all’esame di maturità. Lo ha fatto con un cortometraggio intitolato Into the silence, il primo della sua vita. Alla maturità ha preso 100.
Francesco ha 22 anni, è di Ancona. In questi giorni si sta preparando a iniziare l’Università, si è iscritto all’Accademia delle Belle Arti a Macerata, ramo comunicazione visiva multimediale. «Sto studiando storia dell’arte, ci saranno i test dal 14 al 18 settembre. Mi piace la regia, vorrei diventare un filmmaker. Il mio primo lavoro è stato per la maturità, pochi mesi fa, prima ho sempre puntato più sulla grafica, anche se la comunicazione visiva mi è sempre piaciuta. Però non potendo fisicamente tenere in mano la macchina da presa, pensavo che non potevo farla. Devo dire grazie al prof di fotografia, che mi ha fatto capire che non serve fare fisicamente una cosa, ho tutti i sistemi per usare il computer, la parte di montaggio la faccio in autonomia e onestamente la regia e il montaggio sono le parti che mi piacciono di più», spiega. Francesco la macchina da presa non la può tenere in mano perché ha la distrofia di Duchenne, una malattia neuromuscolare che fin da bambino lo ha messo in carrozzina. Gioca a wheelchair hockey nei Dolphins Ancona, con cui ha all’attivo tre raduni in nazionale, ed è appassionato di fotografia.
La comunicazione visiva mi è sempre piaciuta. Però non potendo fisicamente tenere in mano la macchina da presa, pensavo che non potevo farla
Il suo percorso scolastico non è andato liscio. A 14 anni si era iscritto ad un istituto tecnico, con gli insegnanti di sostegno che vanno e vengono. Dopo i primi tre anni, per problemi di salute, a scuola non può più andarci: segue le lezioni tramite Skype. In quinta, ormai alla volata finale verso la maturità, salta fuori che invece della programmazione per obiettivi minimi che avrebbe dovuto portarlo al diploma, gli insegnanti avevano lavorato solo con l’obiettivo dell’attestato. «Sul PEI c’era scritto sempre che l’alunno – cioè io – seguiva una programmazione per obiettivi minimi in alcune materie, io frequentavo da casa, per i laboratori era oggettivamente complicato pensare alla stessa programmazione degli altri compagni. Ricordo una discussione con l’insegnante di sostegno, che sosteneva che io non riuscivo, non potevo arrivarci. Ero stanco di sentirmi dire queste cose, stanco di stare a scuola senza un obiettivo, ok a scuola ci vado per imparare, per divertirmi, ma serve avere un obiettivo. Se lo sapevo, cambiavo prima. Sicuramente ho sbagliato anche io a scegliere l’altra scuola, ma a 14 anni si sceglie più che altro in base agli amici», racconta Francesco.
Ricordo una discussione con l’insegnante di sostegno, che sosteneva che io non riuscivo, non potevo arrivarci. Ero stanco di sentirmi dire queste cose, stanco di stare a scuola senza un obiettivo
Finita la quinta ma senza un diploma in tasca, Francesco cambia scuola. Riparte dal terzo anno in un istituto professionale di grafica, l’IIS Podesti Calzecchi Onesti ad Ancona Chiaravalle. «Qui ho trovato tutto un altro mondo. Innanzitutto più umanità, mi sono sentito ben accolto, integrato e accettato. Sono stati trattato come tutti, se andavo male andavo male, se andavo bene andavo bene. I miei compagni venivano alle mie partite di hockey… Mi hanno messo nelle condizioni adeguate per poter arrivare al diploma. Un esempio? Dopo una settimana avevo una webcome e skype, nell’altra scuola c’erano voluti almeno un mese e mezzo. Non mi sono ,ai sentito abbandonato a me stesso, se c’era un problema se ne parlava e si risolveva. Sei anni prima e poi altri tre è stato un percorso pesante e lungo, ma ho imparato tanto».
Durante il lockdown, il prof di fotografia sfida gli studenti con un progetto fotografico sulla quarantena, un reportage da realizzare tutto dentro casa. «Io ho chiesto di fare un video, avevamo studiato un po’ di regia e mi era piaciuto. Il prof mi ha detto sì. Ho creato la storia, il prof è venuto a casa e mi ha dato una mano per le riprese, io facevo il regista e lui il cameramen. Sono ripresi Gaia, la mia assistente e i miei nonni, Salvatore e Miranda. Volevo rappresentare il silenzio che c’era in casa e fuori. Si sono emozionati tutti, per me è stata una grande soddisfazione e soprattutto ho capito che quella è la mia strada», dice Francesco.
I mesi del lockdown non sono stati facili: «Come per tutti, devo dire che non è stato bello finire la quinta dentro casa. In più le persone con disabilità sono state lasciate un po’ a se stesse: l’insegnante di sostegno non poteva venire a casa, il servizio degli educatori è stato sospeso, la fisioterapia che prima facevo 2-3 volte alla settimana sta riprendendo solo ora. Siamo sempre noi a dover chiamare, cercare, discutere, arrabbiarci per avere cose che sulla carta sono dei diritti. Nessuno ti aiuta. Il diritto allo studio c’è, ma se non mi metti nelle condizioni di avere una vita indipendente uno è sempre un po’ obbligato a fare determinate scelte. Mi sarebbe piaciuto fare l’università a Milano, qui ad Ancona tanti indirizzi non ci sono, ma con 30 ore alla settimana di assistente non ce l’avrei fatta. Ho amici che hanno dovuto smettere l’Università per questo», dice.
Adesso cosa speri? «Di trovarmi bene all’Università, di imparare tanto e che un domani questi studi mi portino a far qualcosa. Un lavoro sarebbe fantastico».
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