Lettere, parole, poesie e canzoni che diventano motivi ornamentali e opere d’arte. Segni di una civiltà millenaria, con cui Amjed Rifaie, calligrafo iracheno, sta facendo conoscere al pubblico italiano la sua cultura d’origine. La sua storia artistica inizia una decina d’anni fa, dopo aver lasciato l’Iraq, e aver raggiunto Roma per ragioni di salute.
Che impatto ha avuto la città di Roma su di te?
Mi guardavo intorno chiedendomi come potesse una persona vivere a Roma, senza innamorarsi di tutto ciò che aveva intorno. Sono passato da uno scrigno d’arte all’altro, dall’Iraq, culla della civiltà antica, a Roma, culla di una civiltà che con la sua grandezza ha conquistato il mondo, e questa è stata per me un’esperienza magnifica. Roma è ormai la mia seconda città, è come se qui fossi rinato. Grazie alle cure che mi hanno dedicato i medici italiani, infatti, sono guarito e per questo sarò sempre grato all’Italia, che mi ha dato a tutti gli effetti una nuova vita. Sono arrivato con una valigia piena di speranze che non sono state disattese, ma anche con una cultura quasi ancestrale legata alla civiltà di Babele, degli Assiri e dei Sumeri, e all’arte arabo-musulmana, con le sue miniature e la tradizione calligrafa. Una volta arrivato a Roma mi sono sentito circondato da un’arte diversa, ai miei occhi nuova, ed è stato come una vertigine. Questa città è a tutti gli effetti un museo aperto; in ogni strada, in ogni angolo ci sono sculture, dipinti, monumenti. Il popolo italiano stesso ti trasmette questa attenzione per la bellezza.
Cosa ti ha spinto a dedicarti all’arte calligrafica?
Mi sentivo totalmente immerso nell’atmosfera artistica della città di Roma, ero felice qui, ma dopo circa due anni dal mio arrivo, nel 2010, ho cominciato a sentire una profonda nostalgia per la mia famiglia, per la mia terra. L’Iraq mi mancava in tutte le sue sfumature. Questa nostalgia mi ha spinto a tornare alle mie radici, a fare una ricerca dentro di me, suscitando il desiderio di mostrare e condividere con gli italiani la mia cultura d’origine, lo stile espressivo che caratterizza quei luoghi. Ho così pensato di dedicarmi all’arte calligrafa. Avevo una bella grafia, ma non avevo competenze per realizzare quadri, così ho cominciato a seguire corsi online e alcuni professori iracheni mi hanno mandato materiale su cui studiare ed esercitarmi. In occasione di un viaggio in Iraq ho fatto visita a uno dei più grandi maestri calligrafi iracheni, che mi ha formato e mi ha dato consigli utili su cui costruire il mio lavoro. Mi si è aperto davvero un mondo. Ho così voluto fare questo dono di me all’Italia.
Come descriveresti l’arte calligrafica?
È un’espressione artistica che permette di cimentarsi con un linguaggio nuovo, valorizzando i propri pensieri e sentimenti. È a tutti gli effetti uno status spirituale. Quando ho iniziato a studiare ho scoperto che la pratica di quest’arte è anche una forma di meditazione. Ogni volta che scrivo, che compongo, sento, infatti, una grande pace interiore, come se tutti i dolori e le ansie che ho si allontanassero. Ho così deciso di approfondire questo aspetto, scoprendo che la calligrafia araba, come scienza, era usata e viene ancora usata nelle scuole di mistica sufi come strumento di meditazione e preghiera. La calligrafia è quindi espressione artistica, una via per la pace interiore e la spiritualità, ma anche una forma di ingegneria del pensiero che ha le sue regole, i suoi equilibri. Ogni lettera può essere scritta in sette diversi registri stilistici. L’arte calligrafa, che risale al VII secolo, è stata modernizzata solo nel X secolo. Tra il calligrafo puro e il calligrafo artista l’elemento distintivo è l’innovazione.
Che tipo di risposta hai avuto dal pubblico italiano?
Direi sorprendente, entusiasta. Vedere un artista che disegna in una lingua sconosciuta, che si scrive al contrario e dove le lettere diventano opere, ha sempre creato fascinazione tra la gente, ma anche voglia di avvicinarsi a quest’arte, così ho deciso di dedicarmi anche all’insegnamento con corsi per associazioni, librerie, enti formativi. Tengo anche, da tre anni, un corso all’Università La Sapienza con studenti di diverse nazionalità. È bellissimo vedere come persone di altre culture, Italiani, Americani, Ucraini, Cinesi, apprezzino quest’arte e si avvicinino alla profondità della cultura arabo-musulmana. Ho studenti che non parlano affatto l’arabo, ma diventano bravi calligrafi”.
In base alla tua esperienza, credi che in Italia si conosca l’arte dei Paesi arabi?
In certi ambienti accademici sì, ma la maggior parte delle persone non ne sanno nulla e questo si deve a una serie di ragioni. Negli anni Ottanta molti artisti, pensatori e intellettuali arabi, principalmente di orientamento laico, hanno lasciato i propri paesi per ragioni politiche e sono emigrati in Occidente, anche in Italia, portando con sé il proprio bagaglio culturale e riuscendo a diventarne ambasciatori. Oggi la realtà dei migranti è diversa, e gli artisti arabi scelgono solitamente città come Londra o Parigi, dove hanno buone opportunità di emergere. Io sono uno dei pochissimi che conosce e pratica quest’arte in Italia.
Come si svolge, solitamente, una tua lezione?
Durante i corsi unisco la teoria alla pratica della meditazione. Si sceglie una parola, si ascolta musica rilassante, da quella sufi ai brani di Einaudi, e alla luce delle candele, in un’atmosfera rilassante, ci si immerge nella meditazione, in una situazione di silenzio assoluto. In quel frangente, si perde letteralmente la concezione del tempo, a volte passa un’ora, ma è come se fossero passati solo cinque minuti. L’arte calligrafica diventa una forma di art therapy. I sufi insegnano l’amore, insegnano che non bisogna lasciare che nel cuore alberghino sentimenti negativi e l’arte calligrafa è un esercizio eccellente in questi termini. L’opera d’arte è il partorire momenti spirituali. I miei quadri oscillano tra l’amore terreno e l’amore divino ed è bellissimo vedere altre persone vivere esperienze simili.
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