Molto si crea, nulla si butta ma tutto si trasforma sempre all’insegna della sinergia. Dal 2016 questa è la ricetta virtuosa della rete Agricoltura Sociale Lodigiana che ha raggiunto importanti traguardi sul fronte sia dell’inclusione lavorativa di persone con svantaggio sia delle iniziative anti-spreco. In continua via di sviluppo, la rete è composta da 11 realtà che hanno intessuto tra loro una filiera “sociale” e sostenibile: le cooperative sociali L’Officina, Il Mosaico, Il Pellicano, Famiglia Nuova, Il Gabbiano, I Germogli, Diomede, le aziende agricole Baronchelli, Le Cascine Riboni, Floricoltura Oldani, il Movimento Lotta alla Fame nel Mondo.
La rete lodigiana ha saputo affrontare i numerosi scogli del periodo di pandemia ritrovandosi più coesa e con diverse progettualità che bollono in pentola. La prima e più importante è data dalla trasformazione che la riguarda in prima battuta, come ci spiega Gian Marco Locatelli, coordinatore della rete e referente dell’Ufficio di Piano ambito di Lodi: "Sono trascorsi cinque anni dalla nascita della rete e dopo diverse sperimentazioni, l'Ufficio di Piano dell'ambito di Lodi ha avviato un percorso di accompagnamento, insieme agli enti aderenti che hanno deciso di partecipare, con l'obiettivo di individuare quale sia la modalità più efficiente ed efficace di stare insieme. In pratica vorremmo costituire un nuovo soggetto, tenendo anche in considerazione la riforma del Terzo Settore”.
Che cosa comporterebbe questa trasformazione formale? “Un nuovo soggetto potrebbe migliorare le economie di scala e le collaborazioni fra gli enti sia sostenendo le singole produzioni sia garantendo l'accesso a bandi in maniera compatta – commenta Locatelli – In questo modo la rete potrebbe promuovere l'agricoltura sociale e i valori di cui è portatrice con più forza comunicativa".
Coop “Il Mosaico”, Movimento Lotta alla Fame nel Mondo, SanfereOrto: con l’agricoltura sociale nessuna abilità viene sprecata
Sono numerosi gli esempi virtuosi appartenenti alla rete in continua trasformazione per rispondere alle esigenze del territorio e di coloro che lo vivono. Un esempio di questo intento è rappresentato dal progetto SanfereOrto, da Sanfereolo, quartiere marginale di Lodi diventato protagonista di una riqualificazione su più fronti grazie alla creazione di un orto sociale che dal 2018 al 2020 ha ospitato ben 22 tirocini con protagoniste persone disabili, con disagio sociale ed economico o provenienti da comunità per dipendenze, da quest’anno anche ex detenuti o familiari di detenuti. La produzione è in parte donata ai cittadini coinvolti, ai bambini dei laboratori e soprattutto al Centro di Raccolta Solidale per il Diritto al Cibo e in seguito distribuita agli indigenti. Un’altra parte, come scopriremo, viene invece trasformata.
Per gestire il tutto è stata creata un’ATS che ha come ente capofila il Movimento Lotta alla Fame nel Mondo. Federica Pompei, referente progetti Italia e rapporti con le scuole del MLFM, ci illustra la nascita del progetto e la sua trasformazione: “Nel 2017 è nata una collaborazione tra il Movimento e altri enti come le coop Il Mosaico, Il Pellicano, Il Gabbiano e il Consorzio Formazione Professionale (CFP) oltre al Comune di Lodi. Ci siamo uniti per rispondere al bisogno di riqualificazione partecipando a un bando Cariplo.
Il Comune di Lodi ci ha dato in comodato d’uso il terreno di questo quartiere marginale per creare un orto sociale dove abbiamo incluso diverse persone con svantaggio attraverso borse lavoro e primi inserimenti lavorativi”. Saliente l’attività di sensibilizzazione con le scuole: “Una volta eravamo noi ad andare nelle scuole, ora sono queste a venire da noi per fare esperienza diretta nell’orto. In questo modo bambini e ragazzi possono conoscere la biodiversità e la cura del bene comune. Dopo il periodo di chiusure abbiamo attivato un nuovo progetto dal titolo “Ambiente attivo: costruiamo un percorso bio-diverso” sul tema del compost e della tutela delle api. Abbiamo inoltre costruito un hotel degli insetti. Stiamo ampliando la rete di collaborazione perché più siamo più diventiamo forti nel sostenere i valori dell’agricoltura sociale”.
Sempre sul fronte dell’inclusione è fortemente attiva la cooperativa sociale “Il Mosaico”. Pietro Bergamaschi, coordinatore degli inserimenti lavorativi di persone svantaggiate, racconta che cosa sta sviluppando la cooperativa su questo fronte: “Abbiamo attivo un orto sociale chiamato “L’Orto nel Cortile”, proprietà dell’associazione “Il Cortile” e attivato anche con Caritas Lodigiana, situato nel terreno di Cascina Fanzago di Lodi. Qui ogni anno concretizziamo tirocini di inclusione sociale rivolti a persone con svantaggio di diverse età. Sempre nell’ambito delle attività dell’orto abbiamo effettuato assunzioni a tempo indeterminato part-time”. Un occhio di riguardo è rivolto alla questione ambientale: “Per i nostri prodotti abbiamo escluso totalmente l’utilizzo di sostanze chimiche e realizziamo una vendita a chilometro zero, in pratica i prodotti vengono venduti direttamente nel chiosco presente nell’area dell’orto”.
Cooperativa L’Officina di Codogno e il laboratorio di trasformazione dei prodotti dell’agricoltura sociale: “La vera sostenibilità si attiva cambiando prima di tutto se stessi”.
La sostenibilità passa prima di tutto attraverso l’autotrasformazione: questo il memento e anche l’ingrediente quotidiano della cooperativa “L’Officina” di Codogno. Nata nel 2015, ha sviluppato 33 percorsi di inserimento lavorativo, di cui 5 tramutati in assunzioni, per persone con fragilità di diverso tipo permettendo di imparare un mestiere sul campo oltre che un concreto riscatto sociale. L’ultima sfida della cooperativa è rappresentata proprio dal laboratorio di trasformazione dove approdano i prodotti coltivati da altre realtà della rete di agricoltura sociale lodigiana diventando succhi, marmellate e creme in un’ottica di sostenibilità che abbraccia diversi aspetti. “Dopo esserci formati sull’intero processo, dalla cassetta di frutta al vasetto venduto, grazie al progetto ConLab finanziato dalla Fondazione Comunitaria di Lodi, abbiamo aperto il nostro laboratorio trasformando una parte della nostra sede e attrezzandoci dei necessari requisiti: crediamo infatti che la vera sostenibilità si attivi cambiando prima di tutto se stessi” racconta Paola Pozzo, una delle fondatrici della cooperativa.
Nel laboratorio dell’Officina sono inserite lavorativamente tre persone: due giovani con disturbo dello spettro autistico e una donna di origine kenyota che cresce da sola il proprio bambino. Storie in carne ed ossa che dimostrano una concreta valorizzazione delle capacità, scardinando stereotipi ed emarginazione. Nel frattempo la sinergia con il territorio è forte: “Utilizziamo frutta e verdura di piccoli agricoltori locali che magari faticano ad emergere ma che sono un valore aggiunto – sottolinea Paola Pozzo – Allo stesso tempo accogliamo i prodotti che non si riescono a vendere perché segnati o storti: abbiamo iniziato una collaborazione con la start up “Bella dentro” che ha acquistato il macchinario per l’essicazione e così adesso facciamo anche essiccati, una nuova sfida da tanti punti di vista”.
La collaborazione con le altre realtà della rete lodigiana cresce ogni giorno: “Lavoriamo molto con le coop “I Germogli” e “Il Mosaico” per cui abbiamo realizzato confetture di fragola e anche di rabarbaro. Altre aziende comprano invece le nostre marmellate come prodotto da mettere nei cesti natalizi. Trasformiamo anche i prodotti coltivati a SanfereOrto che escono dal nostro laboratorio nel vasetto già etichettato”.
L’Officina cura al massimo ogni aspetto sostegno della sostenibilità, come spiega Paola Pozzo portando alcuni esempi: “Le nostre marmellate contengono una media bassa di zucchero rispetto altre (20% circa) a favore della salute, allo stesso tempo però lo zucchero aiuta molto la conservazione del prodotto. Abbiamo così implementato capsule più efficienti oltre che riciclabili al 100% e vasi rotondi con minor utilizzo di vetro, e che permettono di estrarre meglio il prodotto. Inoltre siamo passati all’energia da fonti rinnovabili al 100%”.
Il laboratorio ha mosso i primi passi nel 2020 proprio durante la tempesta iniziale della pandemia: “A giugno dell’anno scorso pensavamo che avremmo chiuso e invece no: abbiamo resistito a tutti gli urti forse perché già abituati a trasformare i disagi in occasioni di crescita in questa nostra palestra di trasformazioni”.
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