«Io la notte voglio dormire tranquillo sapendo di avere utilizzato un prodotto di qualità che non mette in pericolo nessuno». Questa la risposta di quegli imprenditori che hanno deciso di continuare a rivolgersi alla “Calcestruzzi Ericina”, realtà trapanese riconosciuta sia come esempio di attività sequestrata alla mafia nel ’96 e confiscata definitivamente nel 2000, ma anche di "auto-gestione" da parte degli operai, ma anche per il nuovo corso produttivo volto alla salvaguardia dell’ambiente finalizzato al recupero e riciclo dei rifiuti inerti non pericolosi. Nello specifico, l’azienda è specializzata anche in conglomerati cementizi. Dal 2008, produce e vende anche aggregati riciclati attraverso l’utilizzo dell’impianto di riciclaggio denominato R.O.S.E. (Recupero Omogeneizzato Scarti Edilizia). L’innovazione tecnologica e sensibilità sociale sono i punti cardine della "nuova" vita aziendale.
Un lungo e difficile percorso che, grazie all’impegno di molti, a cominciare dai 12 lavoratori della stessa azienda costituititi in cooperativa, é riuscito a superare tutti i tentativi di inquinamento mafioso.
«Nel giro di pochi anni il fatturato si era dimezzato e nessuno chiedeva più preventivi – racconta Gisella Zagarella, ingegnere ambientale, responsabile tecnico e A.d. della “Calcestruzzi Ericina” -, conseguenza di un boicottaggio mafioso che aveva provato a farla riacquistare per pochi spiccioli. Così l’amministratore giudiziario si rivolse all’allora prefetto Fulvio Sodano. L’amministratore ha anche avuto la lungimiranza di ristrutturare tutto il comparto aziendale, volendo produrre non solo calcestruzzo ma guardare anche all’ambiente. Nasce così l’impianto di riciclaggio di scarti edilizi tra i più evoluti in Italia».
Tutto questo avviene nel 2008, quando la considerazione più comune era “ma la spazzatura non è solo spazzatura?”. La storia dimostrerà che i rifiuti possono trasformarsi in qualunque cosa, anche in opere d’arte.
Uno sguardo altro, lontano, che ha permesso ai lavoratori dell’azienda di vedere finalmente il frutto di un impegno passato attraverso tantissime lotte.
«Battaglie condotte per fare applicare la normativa sull’utilizzo delle materie seconde ossia gli aggregati riciclati – prosegue la Zagarella – facendoli inserire nei capitolati della legge sugli appalti. Nel 2014, per esempio, siamo stati chiamati dalla Commissione Europea a rappresentare l’Italia in questo settore, per noi all’inizio impensabile. In ultimo siamo stati inseriti nel libro di Alessandro Gassmann “Perché ho deciso di pensare verde” che racconta il suo impegno per il verde, portando come esempio le storie di tutti i “Green Heroes” italiani. Si tratta di realtà imprenditoriali impegnate nel rispetto dell’ambiente, ma anche e soprattutto della sicurezza dei lavoratori. Ci siamo noi che dai rifiuti otteniamo aggregati riciclati, come pure alcuni ragazzi di Catania che, dalle bucce di arance, creano per le case di moda. La mappa interattiva giuda nel vasto panorama del nostro Paese. L’ulteriore valore di questo libro è dato dal fatto che il ricavato andrà al “Kyoto Club” per realizzare frutteti solidali in giro per l'Italia».
Quando nel 2008 nacque la cooperativa, però, si rese necessario trovare la liquidità per mettere in moto il nuovo progetto.
«Una parte di soldi è arrivata dall'azienda stessa, un’altra parte dal finanziamento, ma mancavano circa 700mila euro. Intervenne Don Luigi Ciotti che si rivolse a Unipol e al suo presidente, Pierluigi Stefanini, per un mutuo a garanzia zero. Certo, paghiamo un bene che non ci appartiene in quanto proprietà dello Stato, ma al momento abbiamo un contratto di affitto della durata di 20 anni. I lavoratori andati in pensione sono stati via via sostituiti da giovani. Io sono entrata nel 2008 quando ci si rende conto che c’era bisogno di qualcuno che si potesse occupare per esempio della gestione di qualità. Vennero all'Università per cercare ingegneri ambientali. Mai mi sarei immaginata che alla fine avrebbero preso me, tanto che pensavo fosse uno scherzo: un bene confiscato alla mafia per il quale si fanno anche i colloqui? Ben presto, però, cambiai opinione. Mi trovai in un contesto bellissimo, profondamente umano. La carta vincente è quella che vede ognuno di noi sentire l'azienda come propria, trattandola con molta cura e amore».
Mentre già l'Europa negli anni '90 diceva che le discariche erano destinate a morire, nel 2003 la normativa sugli aggregati obbliga gli enti pubblici o a prevalente capitale pubblico a coprire il 30% del fabbisogno con materiali riciclati. Direttiva che, per quanto riguarda il settore, veniva totalmente disattesa.
«La normativa europea negli anni si evolve raffinandosi, ma qui passavamo dal collo di bottiglia perché gli imprenditori erano sempre un po' diffidenti e pensavavo sempre all’aspetto del rifiuto. Così, nel 2014, abbiamo organizzato a Trapani un seminario al quale ha partecipato il professore Antonio De Andrea, preside della Facoltà Roma 3, che in Italia ha fatto una grande sperimentazione sui capitolati verdi. C’erano anche gli ordini professionali. Si cominciarono a chiarire molti dubbi».
Importanti i risultati raggiunti sia rispetto alla consapevolezza degli imprenditori sia della concretezza dei fatti. Dalle 10mila tonnellate l’anno, infatti, si è arrivati a 30mila tonnellate di recupero di rifiuto, ma la fatica che si fa tuttora per piazzare il prodotto sul mercato rimane.
«Va, infatti, detto che si tratta di materiale vincolato dalla distanza, nel senso che puoi venderlo nell’arco di 30/50 km, poi diventa una diseconomia. La normativa prevede i Criteri Ambientali Minimi (CAM) per chi produce con una percentuale di materiale riciclato ma, se il mio aggregato deve generare 200 km di emissioni per portarlo a destinazione, dove sta il risparmio ambientale?».
Che percentuale di imprenditori in questi anni vi ha girato le spalle?
«Non saprei dire. C’è chi non viene più, certo, ma chi continua a fornirsi da noi sa che discorsi di un certo tipo non se ne fanno. A chi ci ha detto che siamo cari, ho fatto i conti rispondendo che nessuno lavora gratis, ma soprattutto che dovrebbero chiedere a chi fa prezzi più bassi cosa sta vendendo loro. Ovviamente, se riusciamo a stare sul mercato è grazie a quegli imprenditori trapanesi che ci chiedono qualità perché vogliono offrirla a loro volta ai loro clienti. Uno scambio fantastico, che dimostra la voglia di economia sana e legale della nostra terra».
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