Se vi capitasse di dover far tappa a Rimini arrivandoci in treno o magari, come il sottoscritto, vi trovaste a passarci due ore perché vi hanno preso un biglietto non modificabile, c’è una visita da fare, appena fuori dalla stazione. Un vero itinerario sociale.
Semplicemente attraversando la strada prospiciente, in un’area tutto sommato sguarnita di bar, c’è il Bike Park di Rimini.
Io sono stato attratto dalla forma dell’edificio, un chiaro annesso della struttura ferroviaria, probabilmente un tempo un magazzino, col classico tetto a capanna. Ma mi hanno attirato anche gli ombrelloni esterni con tre tavolini, che indicano chiaramente l’opportunità di un ristoro.
Non avrei pensato che quel "Bike" e il "park" dell’insegna indicassero davvero quello che promettevano, un parcheggio per biciclette; pensavo in verità a un'americanata, la scelta di un naming efficace, magari omaggio al passato, ma che poi di un caffà si trattasse.
Entrando si capisce subito di trovarsi in un luogo “altro” dalla caffetteria solita, infatti il barretto che vi accoglie sulla destra, appena tre metri di bancone, è solo un di cui di un posto che è, nell’ordine, parcheggio bici – “come dice il ragionamento stesso” avrebbe detto l’assessore Cangini-Cevoli che è di queste parti – noleggio di velocipedi, riparazione con tanto di meccanico, deposito bagagli, servizio lavanderia per ciclisti.
Lo gestisce Metis onlus, una cooperativa sociale e occupa quattro addetti, di cui due soggetti svantaggiati.
Diviso fra macchina del caffè e consegna bici, Diego, 36 anni, da Bella Riva, una delle tante frazioni riminesi note per la spiaggia omonima, spiega che cosa ci fa lì – l’addetto ma anche il social media manager “mi è sempre piaciuto smanettare” dice in romagnolo rotondo e perfetto e come ci è arrivato.
“I miei avevano un negozio di frutta e verdura storico, in cui ho sempre lavorato anche io”, spiega all’avventore impiccione, “poi una sera, il giorno del mio compleanno, tornando a casa, la paletta dei Cc e un palloncino che non mi ha lasciato scampo: un tasso alcolemico davvero troppo sopra”. Ci ride sopra, Diego, seppure con una punta di amarezza: “E dire che avevo aspettato due ore prima di guidare”. Niente: patente ritirata e, come pena accessoria, i lavori socialmente utili: “È stato allora che, alcuni amici, mi hanno indirizzato al Bike Park, che aveva appena aperto: ‘Vai là, che loro, mi avevan detto, sono una cooperativa sociale e possono darti la possibilità di scontare’”. E così che Diego si era messo di buzzo buono a dar via biciclette, a servire coca-cola, a registrare depositi.
Quando è arrivato il momento di salutare, arrivavano le ferie estive: “E mi sono offerto di fare un turno, almeno di un mesetto”, ricorda.
Alla fine, però, di quel lavoro e quell’ambiente s’è innamorato: tanto che quando i suoi sono andati in pensione, tutti e due assieme, Diego ha pensato che un negozio come quello, che lui conosceva bene, da solo non avrebbe potuto gestirlo: “C’è da svegliarsi alle quattro per andare al mercato centrale, avrei dovuto assumere del personale. Non me la sono sentita”, ricorda, “e allora mi sono preso un anno sabbatico, accettando il lavoro qui al Bike Park. Che mi piace moltissimo”.
E infatti si riconosce lontano un miglio l’attitudine del commerciante, la capacità di stare al pubblico imparata negli anni, nel negozio di famiglia. “Tornare a farlo in proprio? Chissà, intanto il Bike Park, dopo la fase dura del Covid, è tornato un luogo frequentatissimo”.
Verissimo: nell’oretta di caffè e acqua trascorsa sul divanetto in vimini – dove Sabrina, un’altra lavoratrice, era corsa a rimettere i cuscini per l’ospite – di clienti ne sono arrivati un po’. Chi restituiva la bici noleggiata, chi ritirava quella parcheggiata, una signora che chiedeva se Giancarlo, il meccanico, avesse preparato la sua, Per ultimo arriva il tassista del vicino parcheggio che, in attesa di passeggeri, viene a bersi una bibita concionando sul sindaco, “tanto questa città è sporca”. Eppure proprio il riordino della stazione ha dato una mano di fresco in un’area che era abbastanza imbruttita dal passare degli anni e dal classico caos (e disagio sociale) che ogni scalo ferroviario si tira dietro.
Da perfetto barman, Diego asseconda il cliente e smorza la polemica ma senza urtare. E intanto ritira il cartellino di un altro ciclista che, depositate le due ruote, se ne era andato a giro in bici.
“Ma qui è anche conveniente prendersela, una bici elettrica, per farsi un bel giro lungomare”, ricorda. Tariffe interessanti: 10 euro per sei ore, con sconto del 30% per chi mostri il biglietto del treno. Ecco, se programmate un week end riminese, magari una piada col Sangiovese fresco, vista Adriatico, al bar del bagno 257 (numero di fantasia), prendete in considerazione di venirci in treno e muovervi in bici, premiando un’esperienza di inclusione sociale.
“È sì, anche l’ecosostenibilità è una delle cose per cui lavoriamo”, ricorda Diego. Benedetto quel palloncino (anche se è meglio non far la prova e non mettersi al volante se si è bevuto, non rischiare per sé e per gli altri).
Intanto una signora ritira la bici e ordina una granita: “Arrivo subito!”.
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