Un piccolo gioiello posto su un’altura a dieci chilometri da Corleone, comune in provincia di Palermo che ha dato i natali a personaggi illustri come Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 o anche il giudice Giovanni Falcone che aveva 4 anni quando si trasferì Corleone dai parenti della madre dopo i bombardamenti americani su Palermo del 9 maggio 1943. Purtroppo, però, Corleone è nota soprattutto per personaggi di tutt’altra caratura come Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Drammatica la genesi del nome dato a questo borgo, legato a quello di un giovane bersagliere di origini albanesi, Giacomo Schirò (in arbëreshë Minu Skiroi) – il padre Giuseppe fu il maggior rappresentante della tradizione culturale e letteraria albanese di Sicilia – medaglia d'oro al valor militare, l’unica concessa da re Vittorio Emanuele III a un non appartenente alle Forze Armate. Giacomo era stato promosso caporale e gli era stata concessa una piccola licenza per passare le vacanze estive nel paese natale di Piana degli Albanesi, comune noto storicamente perché il 1° maggio 1947 nella vicina Portella della Ginestra avvenne la strage in cui la banda di Salvatore Giuliano sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori, provocando la morte di undici di essi e il ferimento di molti altri. Nota importante se si vuole capire l’importanza che Borgo Schirò avrà dal punto di vista storico.
Era il 23 luglio del 1920 quando, mentre ascoltava un concerto in piazza, in divisa di bersagliere, Giacomo Schirò veniva insultato pesantemente da alcuni facinorosi di sinistra. In breve, dalle parole si passò ai fatti e, nonostante il giovane provò a difendersi con la baionetta il gruppo ebbe la meglio e con 53 coltellate Giacomo Schirò cadde a terra senza vita.
A lui venne dedicato Borgo Schirò, un agglomerato di cento anime, sorto per favorire la colonizzazione del latifondo e dare modo ai contadini di poter vivere vicino alle terre da coltivare scongiurando in tal modo il loro abbandono perché l’esigenza di andare verso le città non consentiva di fare altre scelte. Un borgo ridente dove non mancava proprio nulla: la chiesa con canonica, la scuola elementare per i figli dei contadini, il negozio di generi alimentari e la rivendita di tabacchi, la sala da barba, l’ambulatorio medico, le botteghe degli artigiani, anche un ristorante. Oltre al municipio e alla caserma dei Carabinieri.
Fu il terremoto del Belice del ‘68 a decretare l’inizio della sua fine, con il lento spopolamento del borgo da parte dei suoi abitanti. Anche il parroco, rimasto quasi del tutto solo a presidio della chiesa, dovette arrendersi e abbandonarlo. Oggi Borgo Schirò è una delle tante città fantasma dell’hinterland siciliano, oggetto di attenzione da parte di chi non vuole farlo scomparire nel nulla, come se non fosse mai esistito. “Urbex” è l’attività sempre più diffusa a livello internazionale, che spinge fotografi come Alessandro Montemagno ad andare alla scoperta di luoghi più o meno nascosti come questo dandoci modo di scoprirli anche attraverso la pagina Facebook “Sicilia Inaspettata”. Passeggiate uniche, alle quali potere partecipare virtualmente respirando insieme a lui l’energia che proviene dalla storia di chi li ha abitati.
Tante le attenzioni per progettare una nuova rinascita di Borgo Schirò: un protocollo d’intesa tra la facoltà di Agraria dell’Università di Palermo, la Regione Siciliana, l’Istituto regionale della Vite e dell’Olio e il Comune di Monreale, per trasformare anche questo borgo in centro direzionale dell’agricoltura; un progetto pilota dell’Ente di Sviluppo agricolo, dal titolo “La via dei borghi”, per recuperare e mettere in sicurezza dieci borghi rurali siciliani, tra cui anche questo. Comune denominatore i costi da affrontare e le forme di investimento che ancora non si riescono a trovare.
Intanto Borgo Schirò rimane una città fantasma nella quale, però, chi vi si addentra può immaginare concretamente ciò che è stato, quasi respirando le energie che animavano questa piccola comunità, della quale prima o poi qualcuno dovrebbe prendersi cura al fine di recuperare e proteggere una memoria collettiva che non può andare perduta.
Le foto sono di Alessandro Montemagno.
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