Chi può resistere davanti a una fetta di pane, magari uscito caldo caldo da un forno a legna, irrorato di un olio che profuma di bergamotto? Profumi mediterranei, come il limone, la cipolla, il basilico e il rosmarino che, insieme a quello delle olive, creano un effetto assolutamente inebriante.
Essenze delicate ed equilibrate che, nell’Olio Pata, sono il risultato di una tecnica di produzione che accosta frutti e olive, macinandoli per dare vita a un prodotto veramente unico.
«È una cinghia di trasmissione fedelissima tra l'olio profumato al bergamotto e il frutto di bergamotto la cui essenza si trasferisce fedelmente sull'olio – spiega Renato Pata, amministratore ma soprattutto cuore dell’azienda -. Consideriamo che l'olio assorbe in maniera perfetta gli aromi che gli stanno attorno e poi li ripropone con estrema fedeltà, soprattutto nel lungo periodo, così l’olio rimane fresco per tutta la durata della bottiglia. Questa tecnica di produzione si esalta bene con il peperoncino calabrese che avvertiamo con tutta la sua piccantezza. Non si perde nulla, anzi si esalta attraverso la pienezza del gusto del frutto».
Una storia familiare che sa di buono, quella che arriva attraverso un olio che racconta di una terra, la Calabria, secondo produttore nazionale ma anche tra i primi quattro o cinque a livello mondiale, nella quale ci sono aziende che lavorano per trasmettere valore attraverso il sapore della tradizione. Come Pata, fedele a sé stessa da ben quattro generazioni.
«Le nostre radici affondano in un passato lontanissimo perché l’azienda risale al 1910 – aggiunge l'amministratore – e questa è una delle ragioni per la quale abbiamo valorizzato nel marchio dell'azienda la sua storicità e la sua caratterizzazione familiare. Nasciamo producendo olio per gli altri imbottigliatori, poi però ci evolviamo nel settore e da 20 anni a questa parte lo imbottigliamo noi il nostro prodotto».
Un territorio, quello in cui l’azienda è radicata, a forte vocazione olearia, che ha dato l'opportunità di aumentare la base produttiva attraverso la costruzione di una filiera che si estende su tutta la dorsale appenninica, quindi da nord a sud della Calabria. Un processo nel quale ci si preoccupa della giusta coltivazione degli uliveti e del corretto conferimento delle olive. Si parla, poi, di buone pratiche nel momento in cui l’azienda lavora in auto sostenibilità energetica.
«Qui si apre un altro capitolo ancora della nostra storia – prosegue Pata – perché, per sopperire alle esigenze energetiche, 15 anni fa ci siamo resi autonomi autoproducendo energia. Abbiamo alzato l'asticella dell'impatto ambientale attraverso un impianto di fitodepurazione degli scarti liquidi. Non impattiamo minimamente con la nostra produzione perché, da un lato produciamo l’energia mentre dall’altro fitodepuriamo i reflui liquidi del frantoio. A valle dell'azienda abbiamo uno stagno con delle alghe che per noi fanno un lavoro semplicissimo. All’inizio era un impianto innovativo, ma lo è ancora oggi perché non è una pratica diffusissima. In Calabria credo ci sia solo un'altra azienda. Non c’è alcuna innovazione tecnologica, è un percorso semplicissimo nel quale le alghe si nutrono dei nostri scarti. Un processo anche molto virtuoso dal punto di vista economico perché non ci sono trasporti, non c’è inquinamento, non si sono fiumi che soffrono per la nostra esistenza. Produciamo anche bellezza perché le alghe si possono ammirare in questo splendido stagno; tutto molto bello soprattutto se si pensa al lavoro che svolgono».
Una realtà grazie alla quale ha preso vita un processo cooperativo con i proprietari terrieri che avevano abbandonato le loro terre.
«Ci è venuto in aiuto anche Slow Food in quei terreni che sono stati abbandonati per diverse ragioni, da quella legata all'abbandono fisiologico alla quale la Calabria è ormai abituata al fatto che i miei corregionali si trasferiscono in altre regioni per migliorare il loro stile di vita se non altro lavorativamente parlando. L'altra motivazione è data dal fatto che sono terreni fortemente scoscesi, quindi non meccanizzabili. Quando troviamo il connubio di questi elementi, proponiamo ai proprietari ciò che abbiamo fatto nella nostra stessa azienda. Se, infatti, decidono di riattivare i terreni, ritiriamo il loro prodotto a condizioni economicamente favorevoli. Naturalmente parliamo di economia di piccolissima scala che, però, dà frutti interessanti, generando un olio da noi definito da “agricoltura eroica”. Una pratica diffusa nel vino, per esempio in Liguria».
Secondo recenti dati di Coldiretti relativamente alla stima dei terreni coltivati a olio e di produzione, si parla di oltre il 24% della superficie utilizzata. Si parla anche di una filiera che coinvolge 600 frantoi, i cui prodotti sono sia Dop sia IGP.
La storia dell'olio di coltura meridionale è la storia di una olivicoltura di taglio familiare e di sussistenza della stessa famiglia. Le cose sono molto cambiate in queste terre, infatti oggi, nel Sud Italia e in modo particolare in Calabria, le aziende sono nelle condizioni di produrre reddito per loro e per gli altri, quindi assolutamente da tutelare.
Un percorso che guarda molto anche alle nuove generazioni.
«Per esempio, con Coldiretti abbiamo cominciato a dialogare con le scuole, sin dalle elementari, che portiamo in azienda. Anche l’Università, durante l'anno. svolge da noi attività di ricerca. C’è sempre grande stupore, non solo nei più piccoli, quando facciamo assaggiare l’olio nel bicchiere. Cerchiamo di eliminare o ridurre lo scollamento con la realtà che ci vede andare al centro commerciale dove compriamo una mozzarella dimenticandoci completamente che dietro c’è un intero mondo agricolo- A chi ci viene a trovare spieghiamo la differenza tra una varietà e l'altro di olio perché non tutti gli oli sono uguali, coì come non lo sono tutti i territori, tanto da generare una grandissima varietà di gusti e di bontà lungo tutto lo Stivale. Quando, poi, facciamo gustare una semplice bruschetta, raccontiamo anche dei panificatori che, con i loro grani, fanno emergere ulteriori gusti ed essenze assolutamente inaspettate».
Come riconoscere un olio di qualità quando siamo davanti allo scaffale del supermercato?
«Mi rendo conto che districarsi nella scelta, intercettando la bottiglia giusta, è decisamente complicato. Certamente, quando ci imbattiamo in prezzi che sono al di sotto dei costi di produzione dovrebbe risuonare il campanellino d'allarme. Oggi la borsa merci ci dice che un litro d'olio dal contadino costa intorno ai 5 euro e 50 centesimi circa. Poi, però, deve essere trasportato, imbottigliato, etichettato. Costi necessari per la costruzione di questa bella bottiglia nella quale dobbiamo leggere il mantenimento di un'intera azienda. Il prezzo è sicuramente la discriminante. Inviterei, poi, sempre il consumatore a leggere l'etichetta per vedere chi è il produttore e se c'è coerenza tra quello che si compra e la realtà che propone il prodotto. L'ideale sarebbe andare direttamente al frantoio anche per vivere un’esperienza totalizzane».
Che vuol dire per lei produrre in Calabria?
«Mi inorgoglisce. Molte volte, quando prendo l'aereo e sorvolo la Piana di Lamezia Terme guardando la Calabria dall'alto, vedo una foresta di oliveti incastonata tra i due mari. In Calabria ho deciso di portare un progetto familiare che invito a venire a conoscere. Un’occasione unica per capire il grande lavoro che c’è dietro una semplice bottiglia di olio. Sarete accolti a braccia aperte, potendo gustare quanto di buono produce la nostra terra, esaltato nell’unione tra profumi e sapori che parlano dell’essenza profonda della nostra bella Calabria».
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