Il territorio del Comelico nel bellunese, un parroco alle prese con il problema dello spopolamento delle sue montagne e una comunità che rischia di perdere le proprie radici. Sono questi i protagonisti della storia della cooperativa di comunità: “Alberi di Mango” costituitasi il 26 marzo 2019, dopo una lettera inviata dagli abitanti di un paesello di 70 anime al vescovo di Belluno e Feltre per chiedere un aiuto per ridar vita a un territorio rimasto senza servizi per oltre vent’anni.
«Mentre mi arrovellavo per trovare una soluzione per evitare la disgregazione della mia comunità» spiega don Fabio Fiori (l'ultimo in basso a destra nella foto sopra, ndr), parroco quarantenne della comunità «ho letto un articolo che raccontava di un piccolo borgo dell’Appennino reggiano, Succiso di Ramiseto, che stava sperimentando la formula della cooperativa di comunità. La notizia mi ha incuriosito. Ho iniziato a studiare questo modello sociale innovativo dove i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi. Mi sembrava adatto a generare sinergia e coesione nella mia comunità che stava perdendo i suoi abitanti. Ne ho parlato al vescovo che mi ha autorizzato a provarci e, così, è nata la nostra cooperativa che prende il nome da una storia che racconta di un uomo molto anziano che mentre stava interrando semi di mango si sentì dire da un passante: “Perché semini una pianta di mango se non ne mangerai mai i frutti?” L’anziano si girò e rispose: “Io su questa terra ho già goduto dei frutti che i miei avi mi hanno lasciato, ora so che devo piantare alberi perché chi verrà dopo di me possa mangiarne”. Alberi di Mango è il seme che piantiamo per il futuro del nostro territorio».
Oggi la cooperativa raccoglie intorno a se oltre 150 soci che gestiscono nel comune di Costa di San Nicolò di Comelico (Bl) lo storico bar, l’alimentari e il ristorante chiuso da oltre un ventennio. A Danta di Cadore una merceria-edicola e una biblioteca i cui libri sono frutto tutti di donazioni. E a San Pietro di Cadore una mensa scolastica. Nella sub-regione geografica dell'alto Cadore tutti aiutano come possono e nessuno si tira indietro.
C’è don Fabio che spesso fa le pulizie a tarda sera quando il ristorante chiude.
La signora Isora De Tomas che, dopo una vita passata in giro per l’Italia a curare persone come infermiera in ospedale, giunta all’età della pensione, ha deciso di rientrare a Costa, suo paese d’origine, e adesso è volontaria della cooperativa. «Offro il mio tempo per le attività del bar, dell’alimentari e del ristorante» racconta «È un modo per sentirmi ancora utile per il prossimo. È molto bello vedere com’è tornato a essere vitale questo borgo di 70 abitanti per lo più anziani. Persone che spesso trascorrevano sole le loro giornate ora sono sempre sorridenti e al bar non manca occasione di trovare amiche che chiacchierano davanti a un caffè o signori intenti a giocare a carte».
C’è Gianluca Salmaso, 30 anni, originario della provincia di Venezia, una laurea in Economia e commercio e una passione per il giornalismo d’inchiesta. Lui come ogni anno a fine febbraio del 2020 era a Costa per le vacanze di carnevale. Prima il lockdown gli ha impedito di rientrare in città poi la cooperativa gli ha cambiato la vita. «Costa è un luogo a cui sono molto affezionato perché qui trascorrevo tutte le mie vacanze estiva da bambino» racconta «ma sinceramente non avrei mai pensato di stabilirmi in maniera definitiva. È capitato tutto per caso. La possibilità di lavorare in smart working mi ha aiutato in questo cambiamento di vita. Ho conosciuto la realtà della cooperativa che in quei giorni di inizio pandemia stava vivendo un momento di difficoltà perché, come sappiamo, per decreto legge bar e ristoranti dovevano essere chiusi dunque bisognava riconvertire l’attività per dare ossigeno a una realtà che si era costituita solo un anno prima e rischiava una profonda crisi. Ecco che prima mi sono reso disponibile per portare a casa la spesa alle persone anziane poi, da quel modello organizzativo, abbiamo sperimentato il sistema di consegna dei pasti caldi a domicilio. Ancora adesso una volta a settimana noi volontari portiamo nelle case degli abitanti del Comelico circa settanta pizze e, ogni volta che ho il mio turno, percorro fino a 70 chilometri su e giù per le Dolomiti. Questo è anche un modo per conosce la gente, scambiare due chiacchiere. Per esempio se so che uno studente a cui consegno la pizza dove fare un esame all’università alla consegna successiva colgo l’occasione per chiederle notizie. Ho dovuto imparare che in un territorio come questo le abitazioni non si identificano con il numero civico o il nome della strada ma con i nomi delle persone che ci abitano. Ecco che la pizza è da consegnare alla casa vicino a quella di Tizio oppure bisogna suonare il campanello sopra quello di Caio».
Le cose da fare in cooperativa sono tante. Ognuno aiuta come può facendo la sua parte di volontario: c’è la signora anziana che stira i tovagliati, il tecnico che dopo l’orario di lavoro ripara la caldaia del negozio o qualche elettrodomestico e c’è chi taglia l’erba. Un grosso contributo arriva anche dalle secolari Regole di comunione familiare del Comelico. Delle aggregazioni di persone, dette “regolieri”, che si tramandano di padre in figlio le proprietà comuni di boschi e pascoli insieme ai diritti di appartenenza alla Regola e al costante impegno per conservare e migliorare il patrimonio ambientale.
«La cooperativa ha risolto molti problemi sociali» prosegue don Fabio «dare la possibilità a persone fragili emotivamente di ritrovarsi davanti a un caffè al bar e scambiare due chiacchiere, servire ai tavoli del ristorante o stare dietro al bancone del panificio ha migliorato la loro vita perché non si sono sentite più sole. La cooperativa ha dato senso alla vita di tutti noi. Ora siamo tutti diventati risorsa per la nostra comunità».
Al momento dell’associazione si può scegliere di essere soci utenti, che contribuiscono usufruendo dei servizi della cooperativa; oppure volontari, che danno il loro contributo in lavoro gratuito a seconda delle necessità e delle possibilità del socio stesso; soci sovventori e infine lavoratori. A impegnarsi sono sì i valligiani che in questa nuova realtà riconoscono un valore per i loro paesi ma anche i tanti turisti e gli emigranti che ritornano in paese solo per le vacanze e che non mancano mai di bussare alla porta del bar come della canonica chiedendo solo come possano rendersi utili per la loro comunità ritrovata.
«Al momento diamo lavoro a sei persone di età compresa tra i 27 e i 55 anni» spiega il presidente della cooperativa Simone Zampol, 26 anni di età di cui una buona parte passati a lavorare in fabbrica «Alberi di Mango ha cambiato volto a tutto il nostro territorio ripopolandolo. Infatti la presenza di servizi ha sbloccato il mercato immobiliare e molte persone hanno scelto di tornare a vivere nei nostri paesi. Offrire servizi può sembrare una cosa banale ma consente di rivalutare un luogo. Ricordo che in uno dei primi turni che ho fatto come volontario al banco dell’alimentari stavo scegliendo il pane per un’anziana signora e al momento di porgerglielo la signora è scoppiata a piangere. Ero basito, non capivo. Mi ha spiegato che da anni era costretta ogni quindici giorni a recarsi con passaggi di fortuna, perché lei non ha l’auto, al supermercato distante circa sette chilometri per comprare il pane. Era felice di poterlo finalmente comprare fresco ogni giorno. Ecco sentirsi utili è la nostra forza».
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