Gestire il diabete

«Io, medico, ho imparato tantissimo dai miei pazienti durante la navigazione»

Un progetto finanziato dall'organizzazione di volontariato Diabete Zero e promosso dalla Fondazione Tender to Nave Italia ha consentito a 15 diabetici sardi di fare una straordinaria esperienza a bordo di un brigantino, al largo della Sardegna, per imparare a gestire le condizioni di stress e gli sbalzi della glicemia

di Luigi Alfonso

Un laboratorio marinaresco a bordo di un brigantino con un equipaggio della Marina Militare e la consulenza di un team medico. La settimana trascorsa da 15 diabetici sardi insulino-dipendenti su “Nave Italia”, di proprietà della Fondazione Tender to Nave Italia, ha prodotto risultati davvero interessanti. E, per certi versi, sorprendenti.

«Il programma finanziato dall’associazione Diabete Zero Odv è stato arricchente per tutti, a cominciare da me», dichiara Giancarlo Tonolo, direttore dell’Unità operativa di diabetologia della Asl Gallura e responsabile del progetto. «Ho imparato più cose in questi giorni, al largo della Sardegna, che in tanti anni di professione in ospedale».

Il medico. Il dottor Tonolo ha seguito passo dopo passo l’evolversi delle giornate di questo gruppo eterogeneo per sesso, età e provenienza geografica. La sfida consisteva nel conciliare le tempistiche imposte dalla malattia con quelle della vita di bordo, per valutare la capacità di adattamento e di utilizzo delle tecnologie avanzate che consentono di abituare il paziente a gestire la malattia anche lontano da strutture mediche di supporto. Un obiettivo non trascurabile, soprattutto in una regione come la Sardegna in cui questa patologia è particolarmente diffusa.

«Va fatta una premessa: la maggior parte dei diabetici imbarcati su Nave Italia era munita di una strumentazione molto sofisticata che, di fatto, è una sorta di pancreas artificiale ma richiede un’interazione del paziente», spiega il dottor Tonolo. I quindici partecipanti sono saliti a bordo dopo un periodo di adeguata preparazione affiancati da un’equipe medica. Durante la navigazione abbiamo potuto fare una cosa che noi sanitari non possiamo fare solitamente, cioè stare con questi pazienti 24 ore al giorno e affrontare in tempo reale le problematiche che si presentavano di volta in volta. Significa che ci siamo potuti confrontare immediatamente sulle strategie da adottare in condizioni di stress: lo hanno fatto gli stessi pazienti confrontandosi tra di loro. Hanno imparato molto, ma vi garantisco che abbiamo imparato molto anche noi medici».

Giancarlo Tonolo, direttore dell’Unità operativa di diabetologia della Asl Gallura

Tonolo, a scanso di equivoci, spiega perché non tutti i diabetici dispongono di quella strumentazione all’avanguardia: «Dipende dal budget della Asl di pertinenza ma anche dalla disponibilità di personale del Centro diabetologico di riferimento. Perché non si danno quei dispositivi per poi abbandonare i pazienti al loro destino. Anzi, vanno seguiti più di prima. Ma la qualità della loro vita cambia, eccome. Per intenderci, con questi strumenti possono fare immersioni in mare e verificare le loro condizioni in un preciso momento. Prima non era possibile».

Il direttore dell’Unità operativa di diabetologia gallurese sottolinea altri aspetti rilevanti. «Questi dispositivi consentono al malato di non doversi fare l’iniezione di insulina. Due ragazze che erano con noi, come d’altronde accade a molte persone, avevano paura dell’ago: ecco, ora hanno superato quella condizione di stress. Questa esperienza ha permesso di combattere altre paure, per esempio quella della immersione in acque profonde, lontano dalla costa. L’ottimale gestione della glicemia è l’evidenza più grande di questo tipo di approccio. Dirò di più: abbiamo imparato tantissimo anche noi specialisti. Perché alcune cose che in ambulatorio diamo per scontate, così scontate non sono. Dovremo essere più incisivi nelle visite periodiche. E stare più attenti anche nel programmare gli strumenti senza lasciare dei bug in qualche fascia oraria. Occorre una sorta di check-list, non bisogna dare nulla per scontato».

Il brigantino Nave Italia della Fondazione che ha promosso il progetto

Da anni il dottor Tonolo fa con i suoi pazienti esperienze in mare. «Sì, perché la navigazione costringe a tenere conto di tante variabili, come i venti e le correnti marine. Devi fronteggiare situazioni nuove in un elemento che ci è estraneo. Esattamente come accade a un diabetico nella vita di tutti i giorni. Quattro anni fa ho accompagnato sei diabetici dalle Canarie ai Caraibi, e sono emerse dinamiche analoghe a queste. Perché in navigazione cambiano le abitudini: chi è abituato a farsi la corsa quotidiana, non può farlo. Ma questo costringe ad andare oltre la comfort zone. Se uno tiene l’asticella bassa, non si rende conto di avere un problema di salute. Questa esperienza su Nave Italia ha coinvolto pochi pazienti rispetto alle migliaia che abbiamo in Sardegna e in Italia, ma per tutti gli altri è molto importante sapere che si può andare oltre i limiti che conoscevamo. Ovviamente, occorre una maggiore attività di educazione da parte delle strutture sanitarie, come accade per esempio in Inghilterra e negli Usa dove sono coinvolti più gli infermieri che i medici, per lo meno in certi aspetti. A bordo ho fatto più l’allenatore che il medico».

Angela Campo, coordinatrice di progetto della Fondazione Tender to Nave Italia

Il metodo. Angela Campo, coordinatrice di progetto della Fondazione Tender to Nave Italia, spiega: «Dietro ai nostri progetti c’è soprattutto una metodologia educativa messa a punto da un comitato scientifico. In questo caso, si va al di là della fantastica esperienza in mare di una settimana. Non a caso ci sono tre fasi che coinvolgono i beneficiari: una prima dell’imbarco, una durante e una dopo la navigazione. I laboratori sono sempre pensati in funzione della tipologia di operatore. Al termine, c’è un lavoro di diffusione nei territori dell’esperienza».

La testimonianza. «Lo confesso, all’inizio ero un po’ titubante perché non conoscevo gli altri partecipanti. Ma a bordo del brigantino non mi sono mai sentita sola», spiega Marta Perria, 25anni, studentessa universitaria in logopedia, alla quale è stata diagnosticata la patologia 15 anni fa. «In questo lungo periodo sono passata dalla gestione con la “penna” al microinfusore, e ho modificato pure le modalità della terapia. Ma ogni diabetico si adatta più facilmente a una modalità piuttosto che a un’altra: a me, per esempio, il sensore aiuta moltissimo nel gestire il livello di glicemia nel corso delle 24 ore. La tecnologia ci viene incontro, senza dubbio».

I diabetici sardi che hanno partecipato al progetto dell’Odv Diabete Zero

«Ognuno di noi ha abitudini diverse, sia alimentari che nei vari impegni quotidiani: sembra una banalità, ma non lo è», sottolinea Marta. «Faccio un esempio pratico: nella vita di tutti i giorni, di solito faccio colazione, poi la doccia, quindi vado a lezione all’università. Una routine costante, senza variazioni di rilievo. Sul brigantino gli orari erano diversi, come lo erano le attività che dovevamo svolgere, dunque cambiavano i conseguenti consumi energetici. Con il lavoro fisico si andava in ipoglicemia, dunque dovevi tenerti pronto a intervenire di conseguenza. Il pranzo era alle 12:30, mentre io solitamente rientro tardi dalla facoltà e talvolta mangio verso le 15. Il fatto che non fossi io a mettere mano sulle quantità e la tipologia degli alimenti, ha cambiato le carte in tavola. Ci confrontavamo tra di noi anche per fare la conta dei carboidrati».

Marta Perria

«Il gruppo è stato fondamentale durante la navigazione, perché ognuno ha condiviso la propria esperienza specifica», prosegue Marta. «Si è creato un bel clima. Durante i pasti avevamo più o meno le stesse dosi e le stesse pietanze, ma ciascuno di noi aveva esigenze e anche strategie differenti, magari nel consumare prima il contorno e poi tutto il resto per tenere bassi il valore della glicemia. Se si presentava un problema per uno di noi, intervenivano sia i medici che gli altri diabetici. Poi ho imparato a modificare il dosaggio dell’insulina nel corso della giornata. Qualcuno potrebbe obiettare che certe cose si possono apprendere anche in un ambulatorio medico, invece è diverso se puoi affrontare il problema nel momento stesso che si pone. Come è capitato su Nave Italia. Rientrata a casa, sto facendo tesoro di quanto è emerso in questa esperienza e ne parlerò con la mia diabetologa. Correggeremo anche l’algoritmo del mio sensore. Ma soprattutto d’ora in poi avrò una maggiore consapevolezza che mi aiuterà a vivere più serenamente».

Alcuni diabetici sardi prima di un’immersione in mare aperto


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