Giustizia rieducativa
Autori di reato consapevoli, vittime protette
Una persona detenuta all'interno dell'istituto penitenziario di Bollate ha realizzato un percorso di consapevolezza in un gruppo organizzato da Liberation prison project Italia, che l'ha portato a riflettere sulle proprie emozioni, sulla propria vita e sulle motivazioni che l'hanno portato alla pena
Il percorso mi ha dato la possibilità di vedere l’altra faccia della medaglia: il periodo che stavo attraversando non era morto, anche quando ero all’interno del carcere.
— Mario Bellini
Durante gli incontri – due ore a settimana – vengono fatti esercizi per aiutare l’osservazione di sé, l’attenzione. Che può cominciare anche dalla consapevolezza di come si fa un gesto banale, come il riordino della stanza o il modo in cui si mangia, per arrivare a coinvolgere tutto il sentire della persona. «Facciamo un percorso», spiega Vaghi, «che riguardi il loro essere umani e il loro agire nella vita, che evidentemente comprende anche il fatto che che li ha portati in carcere». Non è obbligatorio parlare del proprio reato, ma alcuni lo fanno. E condividendo con gli altri il proprio vissuto interiore. «Durante la settimana parlavamo tra di noi», dice Bellini, «prendendo spunto da quello di cui si era discusso negli incontri, è stato un modo anche per confrontarsi su esperienze che pensavamo essere personali e di nessun altro e che invece abbiamo scoperto di condividere. Nella sfortuna, ho imparato di essere stato fortunato. Il percorso mi ha dato la possibilità di vedere l’altra faccia della medaglia: il periodo che stavo attraversando non era “morto”, anche quando ero all’interno del carcere. Non volevo farmi trascinare dagli eventi, ma dare un senso alle mie giornate, comprendere qualcosa di me». Quando ha avuto la possibilità di finire di scontare la sua pena fuori dall’istituto, ha continuato a seguire un percorso individuale. E oggi, che il cammino è concluso, continua la pratica nella sua vita quotidiana.
«Per quanto mi riguarda, il percorso di consapevolezza è stato la mia ancora di salvezza all’interno del carcere», commenta. «La pena dovrebbe avere sempre una funzione rieducativa, ma, per quanto riguarda la mia breve esperienza, spesso è difficile che sia così. Gli educatori che dovrebbero seguire le persone detenute sono pochi, ho sentito di casi in cui sono riusciti a vederli una volta all’anno soltanto». Eppure, un periodo di reclusione potrebbe essere un momento importante per riflettere sui propri errori e sulla propria vita e per imparare strategie per intraprendere un cammino diverso. «Lasciare che il corpo si esprima, imparare a riconoscere le proprie emozioni e rendersi conto di quando si è mossi da uno stato d’animo particolare aiuta a disinnescare alcune situazioni che potrebbero diventare di difficile gestione», conclude Vaghi. «Questo è il nostro contributo per proteggere le vittime».
Foto in apertura da Pixabay
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