Sono stato al negozio bio. Ci vado poco, perché alla cassa me ne accorgo. Capisco che il prezzo più alto rispetto al “non bio” è inevitabile e, almeno in parte, giustificato. Però il problema esiste, soprattutto per quei produttori che oltre alla qualità del prodotto ci riconoscono anche una dimensione in senso lato “sociale”. Secondo me sono tanti. E sono tutte imprese sociali, anche se non lo sanno, anche se sono delle sane srl o spa lucrative. Ci pensavo qualche tempo fa visitando “Fà la cosa giusta” a Milano. Cooperative sociali pochissime, ma artigiani, agricoltori, costruttori di case, agenzie di viaggio, ecc. erano tutti inquadrabili in questa fenomenologia. Su questo fronte si vedrà se la legge funziona. Perché era soprattutto per loro che andava fatta (anche se temo che, per come stanno le cose, non se ne uscirà nulla). Naturalmente non è solo una questione di forma giuridica, ma ci sono ricadute sostanziali. Ad esempio sulle politiche di prezzo. Perché, come sosteneva su IL un leader inglese del movimento green insopportabilmente radical (e quindi conservatore) “Se vuoi vivere la tua vita facendo solo scelte eco oggi devi spendere tempo e denaro. Non è giusto”. E, aggiungo io, si rischia una “scrematura dell’utenza” (a favore di quella con redditi e codici culturali elevati) che rappresenta una vera propria inversione dei fini rispetto alla socialità dell’impresa. Se dunque la questione si pone, bisogna trovare le risposte. Magari guardando alle care vecchie cooperative (sociali e non) che, anche se un pò vintage, sul fare prodotti di qualità a prezzi decenti hanno dimostrato di saperci fare, ottimizzando le risorse dei soci e fornendo loro strumenti che consentono di abbattere i prezzi non della produzione ma di tutto quello che ci ruota intorno (stoccaggio, rete di vendita, marchi, ecc.) e che, si sa, costa molto e sempre di più. In cambio le cooperative potrebbero imparare a non stantardizzare troppo l’offerta, a scoprire (o riscoprire) la “biodiversità” dei prodotti e delle forme di produzione. Perché non succeda, come è successo in Trentino, che la poca uva bio conferita alle cooperative finisca mischiata nella tramoggia insieme a tutta l’altra.
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