C’è un bel articolo de Lavoce.info sui beni confiscati che rischiano di essere restituiti all’illegittimo proprietario (le mafie, che addirittura se li potrebbero ricomprare dallo stato) a causa di un progetto di riforma elaborato (si fa per dire) dal governo. E’ un istituto importante per il quale varrebbe la pena di mobilitarsi tanto quanto il 5 per mille. Anzi di più. E non solo per il controvalore economico (300 milioni contro gli oltre 700 dei beni confiscati). Ma soprattutto perché la gestione di queste risorse mette alla prova la capacità del terzo settore e delle imprese sociali di essere, davvero, le istituzioni di una comunità solidale che si contrappone a quella “maledetta” dei clan mafiosi. Certo si tratta di operazioni complesse, a cominciare dalle procedure di assegnazione (a volte artificiosamente burocratiche nel caso di enti locali “inquinati”), sia nella gestione (basti pensare alla finanza necessaria per ristrutturare e avviare le nuove attività). Servirebbe un’agenzia di intermediazione degli interessi in campo, un pò come si è sperimentato su tutt’altri fronti (ad esempio la fondazione Talenti per la riconversione dei beni religiosi) e in altri territori (in Inghilterra la rete DTA specializzata nella gestione di community assets). Questa sì che sarebbe una politica autenticamente promozionale per il terzo settore: che assegna autonomia, ma chiede competenza e responsabilità.
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