Welfare

Risocializzare gli asset comunitari

di Flaviano Zandonai

Il riutilizzo dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose è solo la punta avanzata di una fase evolutiva che vede le imprese sociali sempre più impegnate sul fronte della ristrutturazione – materiale e soprattutto sociale – di asset comunitari. Ne ho parlato altre volte e rischio di essere noioso, ma insisto. La ricerca di Liberainformazione con il sostegno dell’Agenzia per le Onlus ha il pregio di essere completa nella mappatura, dei beni confiscati anche se la parte qualitativa va poco oltre il dato descrittivo delle singole iniziative e quella di lettura aggregata e un pò scarna di informazioni. Meriterebbero più attenzione processi di maturazione in senso gestionale e reputazionale delle organizzazioni di impresa sociale che si cimentano su questo fronte, compiendo una svolta importante nel loro ciclo di vita. Per far questo è necessario allargare lo spettro dei beni che tornano e/o sono riconvertiti per finalità di interesse collettivo. Oltre a quelli confiscati penso a strutture di enti religiosi, piuttosto quelli in possesso di enti morali, fondazioni, usi civici, ecc. Per non parlare poi delle forme di (ri)-uso che spesso vanno a toccare le principali innovazioni di prodotto dell’imprenditoria sociale: turismo, agricoltura, produzione culturale, nuove comunità residenziali, housing sociale ecc. Ne scaturirebbe molta “actionable knowledge”, conoscenza che può essere immediatamente spesa in processi di sviluppo comunitario e start-up d’impresa. La cara, vecchia ricerca – azione insomma, senza stare a scomodare concetti troppo trendy.


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