Ieri ero a Milano ad un convegno di una cooperativa sociale. Bello. Si parlava di autonomia e diritti delle persone con disabilità in occasione del primo anniversario della ratifica italiana della convenzione Onu sul tema (a proposito invito a rileggersi l’articolo 19 della convenzione: una vera e propria dichiarazione di missione per la cooperazione sociale). Durante il convegno è stato proiettato un video sulla vita quotidiana – il vero fronte dell’integrazione – in una comunità semiresidenziale gestita dalla coop. Mi colpiscono alcuni particolari: latte parmalat a perenne conservazione, fiocchi di non so che cosa Nestlé, raccolta indifferenziatissima e via di questo passo. Capisco che ci sono ben altre esigenze e problemi in questi contesti (ad iniziare dal fatto che l’ente pubblico paga poco e in tempi biblici) però bisognerebbe lavorare anche sulla qualità del cibo e sulla sostenibilità ambientale. Sarebbe anche un modo per sviluppare una filiera corta e “autarchica” tra cooperative che producono cibo biologico, installano pannelli solari, fanno raccolta dei rifiuti porta a porta. Qualcuno me ne parlava tempo fa e in Svizzera c’è un caso interessente. Da esportare, considerando il fatto che le coop sociali gestiscono quasi il 40% dei presidi residenziali socio assistenziali in Italia (Rsa, comunità per minori, centri diurni, ecc.). Non sono bruscolini…
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