Welfare

La formazione di ritorno

di Flaviano Zandonai

Si ricomincia a parlare e, soprattutto, a fare formazione. Dopo un periodo di relativa calma al termine di tante progettualità, come Equal e altre iniziative del Fondo sociale europeo, infarcite di corsi. E dopo un periodo di ripensamento generale del settore: basti pensare ai lavori della “commissione De Rita” e alle conseguenti minacce di Sacconi di rivoltare la formazione “come un calzino”. Anche l’impresa sociale ha fatto la sua parte: meno risorse a disposizione (tanto da mettere in crisi molti enti e consorzi che fino a qualche anno fa prosperavano su questa area di business) a cui si aggiunge la crisi della formazione “a catalogo” e, in particolare, un ridimensionamento dei percorsi rivolti a coloro che non lavorano nel settore (i master ad esempio). Niente sarà più come prima quindi, o almeno così non dovrebbe essere, pena il rischio che la formazione di ritorno si trasformi in un boomerang. Quali le linee di trasformazione? In ordine sparso direi: meno formazione teorico concettuale veicolata “ex cathedra” e più lavoro su dinamiche di gruppo e casistica (relativa a organizzazioni, settori di attività, territori, ecc.). E ancora: meno percorsi identitari stile “scuola di partito” (che ha partorito mostri) e più aule miste e docenti “eterodossi”, dove culture e identità definiscono non per autoriflessione, ma scaturiscono dal confronto e dalla dialettica.  Last but not least: meno aula e più attenzione a ciò che c’è intorno: prima, dopo e durante. Ad iniziare dalla costruzione del percorso (fabbisogno no, per favore!), passando per project work, visite aziendali (all’estero!), management sostitutivo, sostegno on line, costruzione di comunità professionali. In una parola: formazione continua. Niente di particolarmente nuovo comunque. Anche perché sono diversi i laboratori dove si sta sperimentando. La cosa davvero innovativa è che le imprese sociali comincino a fare formazione anche in contesti diversi dal proprio. Due esempi: da più parti si sostiene che una delle cause principali della crisi attuale risiede proprio nei modelli formativi del management. E che quindi bisognerebbe riprogettarli su nuove basi, con particolare attenzione alla dimensione sociale dell’impresa. Onde evitare che il tutto si risolva in un mero restyling sarebbe il caso che l’esperienza di imprese impegnate ormai da decenni su bottom-line multiple (equilibrio economico, efficacia sociale, sostenibilità ambientale) diventasse materiale formativo anche nei famigerati MBA. E’ complicato, ma non impossibile. A patto di disporre di competenze e di repository conoscitivi adeguati. Ma credo siano ancora pochissime le organizzazioni non profit dotate di un portfolio di case-study ben fatto. Secondo esempio: una collega mi segnala che la Commissione europea sostiene programmi di formazione all’imprenditorialità tout court da realizzare all’interno di tutti i percorsi formativi, non solo quelli specialistici. Perché finora non si hanno notizie di corsi o moduli formativi sull’impresa sociale realizzati nelle scuole e nelle facoltà che formano gli operatori sociali?

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