Questo post era lì, fermo da settimane. Ho deciso di riesumarlo dal limbo delle bozze dopo aver visto (e letto) il paginone che La Stampa ha dedicato a The Hub Milano. Questa uscita fa il paio con un’altra pagina di qualche mese fa apparsa su Il Sole 24 Ore, dedicata a Cgm e ad alcune importanti organizzazioni non profit. Il parallelismo del formato ha riportato a galla la battuta – bisbigliata – di un cooperatore sociale che suonava più o meno così: “questi di The Hub sono proprio dei fighetti; noi queste cose le facciamo già da tempo e nessuno ci considera”. La condizione dell’essere figo non assurge certo a categoria dello spirito, ma merita di essere approfondita perché i riferimenti si trovano non solo nello slang degli adolescenti (ormai da qualche decennio), ma anche nel gergo “socialese”. Per non cadere nella trappola dello stereotipo – dove rischio di finire anche io – bisogna traguardare gli eccessi semplificatori e addentrarsi in quella che, a tutti gli effetti, è una rappresentazione dello status di imprenditore sociale. Un primo elemento che definisce questa particolare posizione sociale consiste nel coinvolgere diversi apporti e risorse in vista di obiettivi di interesse collettivo. A questo livello si mettono in gioco non solo capacità personali, ma anche elementi biografici – reti di appartenenza familiari, parentali, politico culturali – per semplificare processi di aggregazione e attivazione che in condizioni “normali” necessiterebbero di tempi lunghi affinché si possa depositare il necessario substrato reputazionale e fiduciario. Per di più – e la cosa non guasta – queste stesse appartenenze possono attutire (se non eliminare) i rischi che inevitalbimente si corrono nell’intraprendere in settori ad elevata incertezza e innovazione. Un secondo elemento dello status di imprenditore sociale, strettamente legato al precedente, è il possesso di strutture motivazionali complesse che sono difficili da remunerare solo per via monetaria. Prevalgono infatti motivazioni estrinseche legate, ad esempio, al fatto di generare benefici a favore di altri soggetti o contesti che si trovano in situazione di fragilità e degrado. Presi in forma pura questi fattori sembrerebbero delineare una posizione sociale elitaria. Una cosa per pochi eletti dotati di capacità, motivazioni e risorse fuori del comune che, non casualmente, sta alimentando una letteratura fatta di storie più o meno straordinarie. Ma quel che conta davvero è che i percorsi di acquisizione di questo status siano diversificati ed aperti. Anche per chi non è abbastanza figo perché gli mancano le risorse e pure per chi non lo è perché animato solo da mezze motivazioni.
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