Welfare

The same old story

di Flaviano Zandonai

Impresa sociale e sviluppo locale. Forse non ne vogliono più sentir parlare neanche gli addetti ai lavori, estenuati da progetti Equal e tavoli dei Piani di zona. Si potrebbe provare a raccontare la stessa storia in modo diverso. Del resto non è così che si consolida la tradizione? Le imprese sociali sono organizzazioni nate ad hoc per l’unica vera riforma istituzionale di questo paese e che riguarda il modo in cui si definisce “l’interesse generale”. E’ un processo di lunga data: lo start-up potrebbe essere fissato nel 1970, data di attuazione delle deleghe regionali riconosciute in Costituzione; quelle stesse deleghe che le Regioni quarant’anni dopo minacciano di restituire allo Stato perché strette tra i tagli dei trasferimenti e una ancora timida implementazione di un sistema federale che dia loro margine di manovra sulla raccolta e l’allocazione delle risorse. Prima del ’70 c’era un solo ente – lo Stato centrale – che interveniva, a suon di politiche di goverment, in campo economico e sociale. Sappiamo bene come è andata, gli esempi non mancano: dalla sanità alle politiche industriali. Ma il cambiamento non è imputabile, come molti sostengono, ai soli fallimenti dello Stato. E’ successo ben altro. I movimenti sociali hanno favorito l’emergere di nuovi bisogni che non potevano essere soddisfatti attraverso politiche centralizzate e standardizzate. Occorreva sintonizzarsi su ambiti territoriali ristretti per cogliere gli elementi di peculiarità e differenziazione. E soprattutto per far emergere istituzioni di nuova natura, in grado configurare un modello di risposta alternativo e complementare a quello statale. Anche in questo caso sappiamo come è andata: dagli anni ’90 in poi si è aperta una stagione di institution builging che, seppur con tutti i limiti, ha legalizzato una definizione dell’interesse generale su base locale e soprattutto allargata a soggetti di natura privatistica ma con finalità pubblica: cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, ecc. Il processo è tutt’altro che concluso e spesso tende a rinculare. L’ultimo esempio in ordine di tempo è il federalismo demaniale. Un affare tutto interno alla pubblica amministrazione senza che nessuno reclami una parte, anche piccola, di questo patrimonio da destinare a soggetti di terzo settore, salvo poi riempirsi la bocca – e gli uffici ministeriali – con la sussidiarietà. Il fatto che neanche i diretti interessati si agitino in tal senso non depone a favore di un settore che forse non ha ancora maturato, prima dei requisiti strutturali, un sufficiente livello di consapevolezza rispetto al proprio ruolo. Meglio quindi continuare a raccontarla questa storia ormai vecchia.


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