Il sequel del conflitto tra gli opposti approcci alla funzione pubblica è ambientato a livello locale. In ambito nazionale la questione non si pone: l’azione pubblica è rigorosamente unilaterale e prescrittiva: tutta decreti e fiducia, relegando il dialogo sociale nelle relazioni industriali (o poco più in là). Diverso invece il caso delle istituzioni europee che sono più aperte (pur con tutti i buroscratismi del caso), a dimostrazione che non esiste un rapporto univoco tra scala territoriale e possibilibità di esercitare una funzione pubblica allargata. Detto questo ciò che sta avvenendo “nei territori”, soprattutto nel campo del welfare, è un crudele scherzo del destino. La stagione della governance locale dei servizi sociali ha partorito, anche se non dappertutto, un piccolo mostro: aziende locali di servizi sociali, ovvero nuove istituzioni di government. Sui tavoli della programmazione gli operatori della pubblica amministrazione e del terzo settore si confrontano per definire contenuti e priorità dei servizi nell’interesse generale della comunità territoriale. Salvo poi affidare la gestione del sistema a una struttura tecnocratica a guida interamente pubblica che ha il mandato di razionalizzare i processi produttivi e rispettare i vincoli di budget riproponendo, pari pari – anzi forse in maniera ancora più spinta – quel modello di amministrazione bipolare basato sull’outsourcing che vede il privato completamente subordinato al pubblico e che un pò tutti, almeno a parole, volevano superare. Il percorso è così avanzato che già esiste un’associazione di rappresentanza di queste aziende. Ma c’è un’alternativa? Sì, forse: il distretto sociale. Un sistema di gestione che invece di creare un’organizzazione ad hoc che centralizza potere e risorse, mette in atto, attraverso un modello di agenzia, un processo di reale decentramento sussidiario a favore di tutti quei soggetti che dimostrano di avere competenze e risorse (in senso lato), stimolandoli, se serve, in tal senso. Uso volutamente l’opposto (ad alta attrazione) “accentramento / decentramento” perché i maggiori responsabili di questa versione neo municipale del welfare locale (statalizzazione, direbbero sbrigativamente loro) sono proprio quei partiti, come la Lega, che sul protagonismo delle comunità locali hanno costruito la loro fortuna elettorale. Certo, si dirà, bisogna essere concreti, attenti alla gestione – e in questo richiamo alla razionalità manageriale rilevo un’assonanza con gli approcci, molto simili, delle amministrazioni rosse – ma proprio per questo bisognava avere il coraggio di affrontare la complessità, anche in sede di gestione. E’ subdolo rinchiudere la governance nei tavoli di programmazione, segnandone la fine. Ed è troppo facile dimenticare rischi e derive dell’aziendalizzazione pubblica.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.