Ho passato un fine settimana praticando lo sport nazionale emergente: partecipare a festival. Ne sono uscito a pezzi. Venerdì scorso, a Educa, incontro su cooperazione e scuola. Interessante soprattutto perché i vissuti dei cooperatori hanno sopraffatto la deriva ideologica che è sempre dietro l’angolo quando si affronta questo argomento. Narrare genesi e sviluppo della propria impresa impegnata a gestire scuole materne, elementari, medie, istituti professionali, ecc. si è rivelato molto più efficace per dimostrare che scuola pubblica = scuola paritaria + scuola statale. Si è capito meglio cosa significa praticare la sussidiarietà, senza usarla a mò di clava contro uno statalismo che indubbiamente c’è (e fa impallidire altri comparti del welfare), ma che se lo si affronta sul piano ideologico l’effetto è solo quello di radicalizzare le posizioni in campo. Anzi, dirò di più: le posizioni radicalizzandosi si autolegittimano e non ammettano nessuna new entry a scombinare il campo (un pò come è successo con capitale vs lavoro, acqua pubblica e privata, ecc.). Gli insegnamenti non sono finiti qui però. Chi fa cooperazione scolastica accentua alcuni caratteri tipici dell’imprenditore sociale. Ad esempio nei rapporti con stakeholder chiave come beneficiari e lavoratori. Hanno rapporti stretti (e a volte conflittuali) con le famiglie e, nel caso delle secondarie, con i ragazzi che frequentano la scuola ai quali occorre proporre nuove forme di partecipazione alla gestione e alla progettazione educativa. Sono sollecitati dagli insegnanti, un capitale umano prezioso che richiede di essere adeguatamente remunerato (e non si parla solo di soldi) perché, forse anche per forma mentis, si tratta di lavoratori più tentati di altri a migrare nella scuola statale. Infine devono possedere importanti competenze gestionali in senso stretto, necessarie per ricercare la sostenibilità di processi produttivi che fanno sempre più fatica con le sole risorse pubbliche, ma che, stante la mission sociale dell’impresa, non possono discriminare l’utenza con tariffe troppo alte. Senza considerare, infine, il peso degli asset materiali. Quasi tutti gli imprenditori che hanno preso la parola si sono sperimentati, credo anche sulla loro pelle, come immobiliaristi: hanno acquistato, ristrutturato, amplianto, venduto immobili per garantire la continuità e la qualità del servizio. Anzi spesso sono venuti in possesso di queste strutture in comodato gratuito o a prezzi non di mercato, mettendo letteralmente a valore la loro finalità sociale e di sviluppo comunitario. Bell’esempio davvero.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.