Welfare

Nei sottotetti della ricerca

di Flaviano Zandonai

Duemilacinquecentoeuro+iva (lo scrivo anche in cifre come negli assegni: € 2.500,00#). Il tutto per ripulire e incrociare un paio di banche dati, intervistare un tot di persone, effettuare qualche case history. Ma quel che incute timore è l’obiettivo: posizionare imprese sociali in un nuovo comparto di attività. Una roba da nulla da fare con le briciole. Vita grama per la R&D, ridotta ai margini di mega progettualità e sempre più spesso finanziata con fondi residui che non fanno altro che aumentare la residualità dei prodotti. Certo la ricerca accademica non se la passa meglio se si guarda a quel che succede nelle piazze e sui tetti,  ma pure la ricerca che si cala tra gli addetti ai lavori e prova a sostenere progetti di sviluppo non va benissimo. Però non bisogna farsi prendere dallo sconfronto. E soprattutto un bravo ricercatore non deve mai generalizzare. Ma piuttosto ipotizzare: le imprese sociali fanno ricerca e sviluppo per innovare? E se sì su quali oggetti? E con chi? Un tema poco indagato. Ed è curioso perché proprio i ricercatori si spendono per misurare il fabbisogno di queste imprese su altri fronti (formazione, capitale umano, finanza, ecc.). In attesa di farci qualcosa e per caricarmi in vista della trattativa che si aprirà sulla proposta economica di cui sopra (perché pare che ci sarà anche una trattativa, speriamo non al massimo ribasso) mi limito a notare alcune interessanti esperienze di cooperazione sociale che ho incrociato di recente e che hanno investito in ricerca. Precisamente hanno fatto investimenti in innovazione tecnologica per migliorare i processi produttivi e qualificarli come veri e propri asset imprenditoriali (e non solo fornitura per conto di enti pubblici). Gli esempi sono molto diversi: dai supporti informatici per le assistenti domiciliari a macchine di ultima generazione per le terapie di riabilitazione. Non si tratta di semplici acquisti di attrezzature, ma di customizzazioni hard degli strumenti e della tecnologia, con tanto di registrazione di brevetti (a livello internazionale) e addirittura produzione di prototipi. Il tutto in collaborazione con importanti Università e centri di ricerca. Insomma, nell’impresa sociale non c’è solo campo d’indagine su modelli organizzativi, assetti di governance e posizionamento nei mercati. E la committenza non è solo (o non è più) quella delle reti di rappresentanza e di cooordinamento. C’è un target di medie imprese sociali ben strutturate in termini strategici e imprenditoriali che mettono risorse, di buona entità e nel medio periodo, per la cara, classica innovazione di prodotto. Ben più di 2.500 euro naturalmente, e spesso tirando fuori i soldini di tasca propria.


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