Welfare

Capire la Big Society

di Flaviano Zandonai

Finalmente ci sono riuscito: ho capito cosa è la Big Society. Faccio sempre molta fatica con concetti dallo spazio semantico molto vasto, tendo a perdermi. E nel caso della Big Society – e dell’annesso social innovation – il campo gravitazionale è potente e attrae una gran quantità di significati, politiche, realizzazioni, un pò come succede con gli anelli di Saturno. Mi è venuto in soccorso un articolo pubblicato ieri su La Stampa dove si legge di un premier inglese messo alle strette da una gestione fin qui un pò ondivaga proprio di quella politica – la Big Society – che ne ha fatto la fortuna in campagna elettorale. Occorre dunque rompere gli indugi. Da dove partire? Qual’è l’implementazione migliore per realizzare un disegno strategico che riconsegni nelle mani dei cittadini e delle comunità la gestione del welfare, segnando una discontibuità con il passato? La risposta è semplice, e come spesso accade per le cose semplici è anche radicale: estendere su base nazionale il sistema del personal budget sperimentato negli scorsi anni (con i tories al governo) in alcune municipalità. Si tratta in buona sostanza di versare direttamente sul conto corrente dei beneficiari – previo accordo con un assistente sociale o case manager – le risorse economiche necessarie per soddisfare i propri bisogni (o risolvere i propri problemi), sfrondando tutte le misure di intermediazione con le unità di offerta: voucher, accreditamenti, ecc. e obbligando così imprese sociali e terzo settore a mollare il ruolo di fornitori di servizi per conto della pubblica amministrazione o di cittadini “blindati” nella scelta dai voucher. Un recupero del caro, vecchio (e speriamo non sopito) orientamento comunitario che muove in direzione bottom up, guadagnandosi reputazione – e risorse economiche – attraverso una relazione diretta con cittadini che possono ricoprire ruoli diversi: utenti, clienti e, perché no?, prosumer e proprietari dell’organizzazione. Lo hanno capito, tra gli altri, due importanti reti di sostegno a organizzazioni community based – anche per la gestione di asset comunitari – che qualche mese fa si sono fuse creando Locality, la più importante rete nazionale  di sviluppo comunitario. E lo ha capito il mensile Communitas che in tempi non sospetti pubblicò un numero smilzo dalla copertina rosa pallido che a vederlo prometteva poco di buono e che invece conteneva un interessante report di valutazione e relativi commenti sulla sperimentazione del personal budget. Quando la Big Society non c’era. Onore al merito!


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