Non è il welfare della Pubblica Amministrazione, neanche delle imprese sociali e neppure delle organizzazioni di tutela. E’ la protezione sociale degli intermediari: i soggetti che gestiscono lo scambio – tutt’altro che semplice – tra le risorse per la sanità integrativa e la rete dei servizi. Un pilastro importante – e fin qui sottovalutato – del cosiddetto secondo welfare, quello che si alimenta attraverso fondi (aziendali e assicurativi) e servizi privati. Un sistema che per funzionare ha bisogno non solo di grandi collettori di risorse, ma anche di un’interfaccia con le svariate agenzie di prestazioni dei servizi. Nei prossimi giorni ci sarà un convegno a Roma, il Welfare Day, organizzato proprio da una di queste strutture che sostiene la costruzione di fondi e mette a disposizione un network di centri servizio convenzionati, grazie al medium dell’immancabile “card” per consentire ai beneficiari di accedere ai servizi a tariffe agevolate. Appuntamento davvero interessante, al quale non mancheranno – anzi sembrano quasi sovrarappresentati – gli attori che strutturano il lato della domanda: sindacati e organizzazioni datoriali, che sul fronte del nuovo welfare trovano una nuova, formidabile occasione per ridare fiato alle relazioni industriali. Mancherà invece – ma c’era da aspettarselo? – il terzo settore in veste di aggregatore della domanda e, attraverso il suo braccio imprenditoriale, di attore dell’offerta. Si tratta di un problema di non poco conto: i fondi si alimentano attraverso automatismi normativi, accordi contrattuali, prodotti assicurativi più o meno standardizzati. Ma l’offerta può conoscere elementi importanti di variabilità, ad esempio se dal sanitario “pesante” – strutture residenziali e semi residenziali – ci si sposta verso quello più “leggero” intercettando il versante socioassistenziale. Peccato, perché il nuovo welfare “contrattuale” rischia di perdere un importante sottoscrittore. Eppure lo slogan del convegno, in pieno stile Big Society, parla chiaro: People first!
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